L’Assommoir (1909)

Albert Capellani

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SINOSSI: Gervaise ha aspettato per tutta la notte il suo amante, Lantier, ma quando questi torna al mattino presto, si sfoga sulla donna riducendola in lacrime. Dopo che Gervaise, col suo cesto della biancheria, esce di casa per andare in lavanderia, dove lavora, Lantier, che si è legato a un’altra donna della lavanderia, Virginie, riempie un baule con le sue cose, prende tutti i risparmi di Gervaise e se ne va, nonostante Coupeau, un vicino, tenti di dissuaderlo. In lavanderia, Gervaise viene raggiunta da un bambino che le consegna un biglietto di Lantier in cui l’uomo le annuncia che la lascia. Derisa dalla stessa Virginie, Gervaise reagisce lanciandole addosso una secchiata d’acqua e solo l’intervento delle altre lavandaie evita una rissa. Tempo dopo, Gervaise si sposa con Coupeau, operaio edile, buono e coscienzioso. Ma Virginie ce l’ha ancora con Gervaise e provoca un incidente a causa del quale Coupeau cade da un’impalcatura e rimane ferito gravemente. Durante i mesi di inattività, l’uomo, depresso, si dà al bere. Dopo essere finito all’ospedale, dove i medici gli hanno intimato di smettere poiché è in pericolo di vita, Coupeau torna a casa animato dalle migliori intenzioni. Tuttavia Virginie, approfittando di un momento in cui l’uomo resta solo in casa, addormentato a un tavolo, sostituisce la bottiglia dell’acqua con una contenente un alcolico. Quando Coupeau beve, si rende subito conto del liquore, ma non riesce più a fermarsi. E così muore in preda al delirium tremens.

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A partire dal 1907, il cinema francese comincia a fare sul serio. Charles Pathé, in particolare, si fa promotore di un’industria solida, con sale cinematografiche fisse (cui segue a breve termine la scomparsa delle proiezioni ambulanti) e un notevole incremento nella produzione. L’obiettivo è quello di attrarre il pubblico colto e borghese che fino a quel momento aveva respinto il cinema considerandolo uno spettacolo rozzo, godibile esclusivamente da parte del volgo ignorante. Il cinema perciò ora è in cerca rispettabilità, e dunque di qualità, e cerca entrambe rivolgendosi alle altre arti già istituzionalizzate, in particolare la letteratura e il teatro, che possono “nobilitare” ed “elevare” lo spettacolo cinematografico. Tale progetto diviene esplicito nei nomi delle nuove compagnie che vengono create a tal proposito: la Film d’art, fondata da Paul Lafitte nel 1908, e la Société cinématographique des auteurs et gens de lettre (SCAGL), lanciata da Charles Pathé nello stesso anno, cui seguono tutta una serie di società simili. Nel settembre del 1908 Capellani porta sullo schermo per la SCAGL L’arlesienne, dal dramma di Alphonse Daudet, che viene però ignorato dalla stampa. Grande successo ottiene invece la produzione Film d’art L’assassinat du duc de Guise (1908), di André Calmettes e Charles Le Bargy, di impostazione prettamente teatrale, ma che annovera nel proprio cast e nella troupe personaggi noti e stimati del teatro e della musica coevi, e tale perciò da attirare l’attenzione della critica e del pubblico colto. L’anno seguente, tuttavia, Capellani trova un grande consenso grazie alla sua prima trasposizione dal romanzo di Émile Zola, L’Assommoir, cui seguirà anni dopo quella di Gérminal (1913) e, ancora prima, in quello stesso anno, Les Miserables (I miserabili, 1913) da Victor Hugo.

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Con le sue tre bobine e ben 740 metri, per oltre trenta minuti di durata, L’Assommoir è considerato il primo vero “lungometraggio” francese (e uno dei primi in tutto il mondo), se si esclude L’enfant prodigue (1907), di Edmond Benoit-Lévy, che però era in pratica uno spettacolo teatrale filmato. Il film di Capellani dimostra che il cinema è ora in grado di narrare una storia tramite scenografie e interpretazioni improntate allo stesso naturalismo cui attingono. La frontalità teatrale del quadro, sempre in campo medio, come era d’uso allora, viene spesso evitata con l’uso degli esterni, che a loro volta suggeriscono l’efficacia di riprese diagonali, l’uso della profondità di campo e delle comparse: tutto questa crea un’impressione di movimento costante, come nella scena del pranzo di nozze dei due protagonisti in un’osteria all’aperto, o in quella degli operai, raggiunti poi da Virginie, che bevono seduti ai tavolini all’angolo di una strada.

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Per ragioni di durata, il film s’incentra interamente sul tema dell’alcolismo (abbondantemente trattato non solo nel cinema francese, muto e sonoro, ma anche da quello svedese) e, per semplificare al massimo la trama, Capellani, coadiuvato da Michel Carré, riduce il naturalismo e la complessità di Zola a uno schematismo da melodramma. Le didascalie sono poche e vengono riprodotti solo gli episodi principali (con salti anche di diversi anni tra un quadro e l’altro), si presuppone perciò che il pubblico abbia già letto il romanzo di Zola (uscito tra il 1876 e il 1877 su due diverse riviste) e che possa dunque godersi un “film d’arte”, destinato in ogni caso a un ceto borghese e istruito. Una delle modifiche più importanti riguarda il ruolo del personaggio di Virginie, che, motivata da odio e desiderio di vendetta pervicaci nei confronti di Gervaise, compie tutta una serie di nefandezze che fungono da motore dell’azione. Né c’è traccia nel film dei due figli che Gervaise ha avuto da Lantier, mentre il lento degradamento che porta la stessa Gervaise a bere e infine a prostituirsi è solamente accennato nella scena in cui la donna raggiunge il marito all’osteria e, per disperazione, si mette a bere insieme a lui.

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Il montaggio è ancora “di servizio”, si limita cioè a raccordare fra loro quadri di lunga durata senza effettuare cambi di piano, e tuttavia si rivela già molto efficiente. In altre scene, come il convivio in casa di Gervaise, si nota ancora l’impostazione teatrale della scena (si noterà anche nel già citato Gérminal, quattro anni dopo), e persino la scarsa confidenza con la macchina da presa dell’attrice principale che, alzandosi da tavola – nel momento in cui si accorge che Virginie continua a riempire il bicchiere a Coupeau – guarda in macchina, come per assicurarsi che il suo tempismo sia corretto. Dal canto suo, Alexandre Arquillière, nella lunga scena finale in cui, bevendo il vino viene assalito dal delirium tremens, si scatena in una pantomima che allo spettatore d’oggi può sembrare un po’ ridicola: l’attore si apre la camicia spalancando gli occhi, saltella per la stanza, salta sul tavolo e da lì afferra una sedia come per scacciare qualche bestia invisibile; poi scende dal tavolo, gesticola nel vuoto e crolla sul tavolo rompendolo; infine si rialza ancora, barcolla strabuzzando gli occhi e finalmente cade a terra morto. D’altra parte l’attore non era aiutato né dai primi piani – ancora pressoché inusitati, quantomeno nel cinema europeo – che, soffermandosi sulle espressioni del viso, lo aiutassero a modulare l’interpretazione, né da altri elementi del racconto, come ad esempio la rappresentazione delle sue allucinazioni tramite sovrimpressioni, fra l’altro già utilizzate da Capellani in film precedenti, come nello splendido Pauvre mère (1906). La performance più convincente rimane quella di Catherine Fonteney, che non a caso sarà l’unica dell’intero cast a sopravvivere, sia pure di pochi anni, al tramonto del cinema muto. Tramite questo personaggio, la Fonteney, proveniente dal teatro come tutti gli altri attori del film, si impone nel cinema francese come “cattiva” d’eccellenza e Capellani la dirigerà in un ruolo simile due anni dopo ne L’intrigante (1911).

Del romanzo di Zola fu realizzata poi una nuova trasposizione muta nel 1921, ad opera di Charles Maudru.

Vittorio Renzi  (6 gennaio 2018)

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L’assommoir 

[Drink]

Francia, 1909

regia: Albert Capellani

soggetto: romanzo omonimo di Émile Zola

sceneggiatura: Albert Capellani, Michel Carré

fotografia: Albert Capellani

produzione: Pierre Decourcelle, per Société Cinématographique
des Auteurs et Gens de Lettres (SCAGL)

distribuzione: Pathé Frères

cast: Eugénie Nau (Gervaise), Alexandre Arquillière (Coupeau), Jacques Grétillat (Lantier), Catherine Fonteney (Virginie), Paul Lack [Lucien Callamand] (Bibi), Mansuelle (Mes-Bottes), Bazin (Bec-Salé), Irma Perrot (Mme Boche), Marie-Louise Roger (Nana), Harry Baur, Paul Capellani, Stacia Napierkowska

lunghezza: 3 rulli, 740 metri

durata:  36’

data di uscita: 21 dicembre 1908

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