The Devil’s Needle (1916)

Chester Withey

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SINOSSI: David White (John Minturn nella riedizione) – è un pittore spiantato. La sua modella, Renee, è segretamente innamorata di lui, che però non sembra accorgersi di lei. La modella inoltre si inietta abitualmente la droga. Quando David conosce Wynne  (Patricia, nella riedizione), figlia del ricco signor Devon (Mortimer nella riedizione), si innamora di lei e desidera averla come seconda modella per completare il suo dipinto. Ma il fidanzato di lei, Hugh Gordon (Gordon Galloway nella riedizione) le proibisce di tornare nello studio del pittore. Per la frustrazione, David, su incoraggiamento di Renee, inizia anche lui a drogarsi. Riesce così a portare a termine il suo dipinto. Quando Wynne trova il coraggio di fuggire di nascosto e tornare da lui, i due si sposano in segreto, mettendo il padre e l’ex fidanzato davanti al fatto compiuto. David però ormai è dipendente dalla droga. Un anno dopo, dopo aver toccato il fondo e aver chiesto a Renee di procurargli la droga, David decide finalmente di disintossicarsi trascorrendo un periodo in campagna. Ma proprio quando torna in città, Wynne viene rapita e segregata da alcuni malviventi. David e Renee riescono a salvarla.

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Quando uscì nel 1916, il film era privo di copyright. Soltanto al momento della sua riedizione, nel 1923, la casa di distribuzione Tri-Stone Pictures provvide a registrarne i diritti e, con l’occasione, modificò i nomi di quasi tutti i personaggi principali. Il film fu riproposto per sfruttare l’enorme fama conquistata da Norma Talmadge, oramai la star numero uno del firmamento hollywoodiano. Ma c’era sicuramente un altro motivo di interesse nel riproporre quel vecchio film pre-Hollywood: la morte del giovane e popolare attore, sceneggiatore e regista Wallace Reid, nel gennaio di quello stesso anno, a causa della sua dipendenza dalla morfina. Il tema centrale del film è dunque la dipendenza dalla droga. David e Renee fanno uso di un piccolo ago iniettandosi la morfina nel polso, un gesto il più delle volte alluso, ma anche – in un paio di casi – mostrato esplicitamente, per quanto possibile all’epoca (non vediamo di certo l’ago entrare nella vena!). Nel cinema degli anni Dieci, sia americano che europeo (e in particolar modo quello danese), certi temi scottanti e “sensazionali” erano abituali: la droga, la prostituzione e sopratutto la tratta delle schiave bianche che, negli anni immediatamente precedenti, era proliferata sugli schermi. L’industria del cinema – come fa abitualmente ancora oggi – tentava di presentarli sotto una duplice veste: da una parte quella del film di denuncia; dall’altra quella dell’exploitation, dello sfruttamento di un tema “caldo” e quindi della sua spettacolarizzazione. Un rapporto di equilibrio che pende a favore dell’uno o dell’altro aspetto a seconda delle epoche e dei tipi di censura in vigore. Nel caso in questione, i produttori sembrano aver trovato un equilibrio sufficiente a far sì che il film si dimostri interessante nella sua capacità di creare dei personaggi verosimili, per i quali si prova più empatia e comprensione che non un giudizio distaccato, anche se gli sviluppi della narrazione rientrano poi nei ranghi di una semplificazione convenzionale e artificiosa.

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Com’è arrivata Renee a drogarsi? Un cartello ci spiega che la ragazza è divenuta dipendente da morfina durante il suo servizio da infermiera, in tempo di guerra per calmare i nervi. Ma, come ha notato argutamente il curatore di un blog, nel 1916 gli Stati Uniti non erano ancora entrati in guerra, perciò il cartello è stato probabilmente inserito all’epoca della riedizione nel 1923[1]. In aggiunta, si potrebbe ipotizzare quanto segue: dal momento che proprio nei primi anni Venti la Talmadge era divenuta la più grande stella di Hollywood, bisognava trovare un appiglio alla motivazione del suo consumo di droga in quel vecchio film. Altrimenti la sua dipendenza non sarebbe stata giustificata da altro che dalla sua frustrazione per il suo amore non corrisposto verso David. E forse non era ritenuto sufficiente il fatto che, dopo aver tentato e messo sulla cattiva strada della droga il povero David, nella seconda parte Renee, oramai disintossicatasi, si redima dapprima aiutandolo a smettere, poi riconducendolo fra le braccia della moglie e sacrificando così i suoi stessi sentimenti.

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L’ispirazione data dalla droga si presenta, nel caso di David, sotto forma di allucinazioni che innescano la sua creatività (anche se, a giudicare dai risultati su tela, si tratta di un mediocre e convenzionalissimo pittore accademico). In due diverse scene vengono utilizzate delle sovrimpressioni: la prima, quando David si inietta la droga per la prima volta e, dinnanzi ai suoi occhi, appare la figura fantasmatica di Winnie che lo ispira a completare il suo dipinto; la seconda quando, un anno dopo, seduto davanti al camino e oramai totalmente dipendente dalla morfina, assiste al prendere forma, nel camino stesso, di un paesaggio arcadico in cui si muovono due allegre ninfe (evidentemente, l’unico soggetto pittorico al quale riesce a pensare!). Anche le didascalie (a volte su sfondo viola) suggeriscono con dei piccoli disegni il tema della dipendenza, raffigurando di volta in volta una siringa, il volto del diavolo, un teschio, un drago, e così via.

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Dal punto di vista degli spazi e delle scenografie, il film appare rigidamente diviso in due parti distinte e anzi opposte: nella prima, tutta ambientata in interni (l’abitazione-studio del pittore, la casa o l’ufficio dei Devon), è ricorrente l’uso di fondali per la vista dalle finestre, allo scopo di conferire profondità di campo a un’ambientazione altrimenti tutta chiusa fra le pareti; nella seconda parte, invece, prevalgono le scene girate in esterni: vicoli e stradine che ricordano le location malfamate del Lower East Side di New York mostrate, ad esempio, nel celebre corto di Griffith The Musketeers of Pig Alley (1912); ma anche la campagna, con la sua vita sana e l’umile lavoro nei campi, che si pone come un classico motivo di contrapposizione alle tentazioni e ai vizi della città: ed è qui che “miracolosamente” il protagonista guarisce del tutto dalla sua dipendenza. Nella parte finale, inaugurata dal rapimento di Winnie, creduta “una spia del movimento riformatore” e sequestrata da alcuni malviventi, in questo film dai ritmi piuttosto posati c’è spazio per un’accelerazione tutta griffithiana, fra lotte, sparatorie, fughe e salvataggi all’ultimo momento, in cui si dà una dimostrazione di un uso, se non eclatante, quantomeno funzionale del montaggio alternato, la cui lezione è stata oramai ben assimilata dal cinema americano. I pochi minuti della scena finale, che vede la riconciliazione fra marito e moglie per mano di Renee, sono al limite dell’inguardabile, dato che la pellicola mostra segni evidenti di decomposizione, come in altre ma assai più brevi parti del film. Risulta inoltre mancante una breve sequenza in cui David, ancora in balia della sua dipendenza, rientrando a casa dopo aver vissuto per un certo periodo nello stesso pensionato di Renee, trova la moglie in compagnia del suo ex fidanzato, Hugh, ed estrae la pistola. Ma ci è pervenuto il seguito: il suo vecchio maggiordomo e amico convince David a desistere e a rendersi conto che la moglie non ama che lui.

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La recitazione, aiutata dai piani ravvicinati (piani medi, piani americani e, spesso primi piani) è d’impronta naturalistica. Tully Marshall, all’epoca già cinquantenne e quindi un po’ fuori parte, aveva interpretato con successo la parte di un tossicodipendente nel dramma teatrale The City, di Clyde Fitch. Marguerite Marsh era la sorella maggiore di Mae Marsh, una delle attrici favorite di Griffith, ma non possedeva né il suo fascino né  la sua bravura e si trovò così a interpretare perlopiù dei ruoli secondari nei film della sorella. Norma, la maggiore delle sorelle Talmadge, tutte e tre attrici, nel 1916 aveva 22 anni, ma aveva già interpretato oltre duecento cortometraggi e diversi lungometraggi per la Vitagraph (dei quali oggi non restano che pochi titoli), lasciandola poi l’anno precedente per approdare alla Fine Arts Company di Griffith. In quello stesso 1916, Norma sposò l’attempato impresario di Broadway Joseph Schenck, e la coppia fondò la Norma Talmadge Film Corporation, tramite la quale la sua carriera si avviò verso un successo sempre più smagliante.

Quanto a, Chester Withey, che fu anche attore e sceneggiatore, The Devil’s Needle costituì il suo esordio alla regia, cui seguirono una trentina di titoli e poi il ritiro dal cinema, agli inizi dell’era del sonoro.

Vittorio Renzi (6 gennaio 2018)

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The Devil’s Needle

Usa, 1916

regia: Chester Withey

sceneggiatura: Chester Withey, Roy Somerville

musica: Rodney Sauer

produzione: Fine Arts Film Company

distribuzione: Triangle Plays

cast: Tully Marshall (David White/John Minturn), Norma Talmadge (Renee), Marguerite Marsh (Wynne Devon/Patricia Mortimer), F.A. Turner (Devon/Mortimer), Howard Gaye, John E. Brennan, Paul Le Blanc,
Monte Blue, William Courtright

lunghezza: 5 rulli

durata:  66’

première: 13 agosto 1916

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[1] Fritzi Kramer, The Devil’s Needle (1916), Movies Silently, 7 ottobre 2016.

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