Afgrunden (L’abisso, 1910)

Urban Gad

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SINOSSI: Magda Vang insegna pianoforte ed è fidanzata con l’ingegnere Knud Svane. Un giorno lui la viene invita nella casa dei suoi genitori a Gjerlev, per farglieli conoscere. Ed è proprio in quella città che Magda rimane affascinata da Rudolf Stern, un artista circense, e convince Knud a portarla a vedere lo spettacolo, al termine del quale tra i due uomini avviene un alterco. Quella stessa notte, Rudolf entra di soppiatto nella camera da letto di Magda e la invita a scappare con lui. La donna accetta. Tempo dopo, a Copenaghen, Knud s’imbatte di nuovo in Magda, la quale si è pentita della sua scelta, dopo essersi resa conto che Rudolf è un seduttore e un libertino. Eppure non riesce a lasciarlo. Rudolf e Magda danzano in maniera lasciva nel teatro in cui entrambi lavorano. Ma quando Rudolf, per l’ennesima volta, mostra interesse per un’altra, scoppia una lite che porta al licenziamento di entrambi. Magda trova lavoro come pianista in un caffè e qui incontra di nuovo Knud. I due decidono di partire insieme, ma Rudolf, che è venuto a saperlo, irrompe nella stanza. Nella violenta colluttazione che ne segue, Magda pugnala a morte Rudolf e viene arrestata.

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Film disponibile in streaming
sul sito Stumfilm.dk: LINK

Il film che lanciò il cinema danese in tutto il mondo (nonché Asta Nielsen come prima vera attrice cinematografica) comincia en plein air, sotto la luce naturale su una strada trafficata, dove passano e vanno una carrozza, una bicicletta e poi un tram. E c’è una donna di spalle, ferma presso le rotaie, in attesa. La sequenza successiva si svolge all’interno del tram dove la donna (Magda), conversa con un uomo (Knud). La macchina da presa è stata adagiata su un predellino all’esterno e inquadra i due a mezzo busto, mentre la strada scorre all’indietro al lato del tram: un realismo quasi documentaristico, insolito e sorprendente in un film del 1910 (la fotografia è a cura del veterano Alfred Lind, uno dei primi registi e operatori del cinema danese). A una fermata, Magda scende, ma Knud decide di seguirla fino al grande cancello di un bar all’aperto, in un parco. E’ l’inizio di un idillio, fresco e innocente, che contrasterà poi in modo pesante con la l’esplosione della passione di lì a pochi minuti di film.

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Nonostante la storia presenti il classico triangolo, la vera attrazione fatale («Un desiderio cocente», recita una delle didascalie) avviene tra Magda e Rudolf, il cowboy circense. Le principali scene che li vedono insieme sono permeate da una forte carica animale e da un erotismo esplicito, torbido, in particolare in due scene: la prima è quella dei due lunghi baci che i due si scambiano dopo che lui è entrato di soppiatto nella stanza di Magda. L’altra è la celebre scena del teatro, dove i due amanti ballano lentamente e vengono ripresi da un lato del palco, a stretto contatto. La scena dura diversi minuti (circa 3 minuti e 20 secondi, su poco più di 37 minuti complessivi di film) e il voyeurismo dello spettatore, nonché la sensazione di intimità con i due interpreti, sono amplificati dalla precisa scelta di regia di escludere il pubblico del teatro dalla ripresa. La danza ancheggiante di Asta, fasciata da un vestito scuro e aderente, le braccia sollevate e le mani sulla testa, è memorabile.

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La temperatura erotica sale quando lei si sfila la cintura di corda dalla vita, prende al lazo Rudolf, lo lega e prende poi a girargli intorno, sempre danzando, si strofina su di lui con la schiena e col sedere, poi lo piega all’indietro e lo morde sulla gola, come una vampira. E’ una chiara avance sessuale, dai toni quasi BDSM[1], quella di Magda/Asta Nielsen, che si muove esprimendo una sensualità inedita per quei tempi. E non solo per quei tempi, a dire il vero, credo anzi che possa essere iscritta, a buon diritto, come una delle scene più erotiche di tutta la storia del cinema. Sta di fatto che questo film conturbante, insieme ad altri film danesi dell’epoca, non passò la severa censura moralista della Svezia, per dirne una. Ma il successo, oltre allo scandalo, fu enorme e in Italia il film fece molta sensazione, lasciando di stucco anche per l’inusuale durata di tre bobine (una quarantina di minuti e anche più, dato che una parte del metraggio è andato perduto) ovvero un terzo in più di quella a cui il pubblico era abituato. E tutto questo mentre negli Stati Uniti Griffith ancora litigava con i produttori della Biograph che gli dividevano in due parti film da lui concepiti come un’opera unica (Enoch Arden Part I/Part II e His Trust/His Trust Fulfilled, entrambi distribuiti nel 1911).

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La maggiore durata dei film, il realismo nell’ambientazione e nelle interpretazioni e l’erotismo furono gli elementi che decretarono il grande successo del cinema danese in tutto il mondo, un’età dell’oro che, come quella italiana del muto, non era destinata a sopravvivere al periodo bellico. Nel caso di Afgrunden, in particolare, questo successo fu in tutto o in gran parte debitore alla decisione della neonata casa di produzione Kosmorama di affidare il film a dei giovani attori di teatro e la regia all’esordiente Urban Gad. Il teatro in Danimarca, da tempo orientato verso il naturalismo, aveva raggiunto la piena maturità grazie alla teoria del critico Georg Brandes e alla pratica del regista William Block, era dunque inevitabile che le loro visioni innovative si riflettessero anche sul modo di concepire la messa in scena e la recitazione cinematografica:

L’ascendenza teatrale provocò un mutamento profondo nello stile dei film danesi. A differenza di quanto avvenne negli Stati Uniti, tale mutamento non derivò dal melodramma romantico o sensazionale, bensì da una drammaturgia più incline al naturalismo e all’intimismo, seguendo forse le indicazioni provenienti dai testi di Henrik Ibsen. Ci si trovava di fronte, ancora, a film melodrammatici, nei quali tuttavia si poneva più l’accento sull’elemento erotico e psicologico che non sull’azione. Afgrunden non fu la migliore pellicola di questo genere, ma ne divenne il prototipo.[2]

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Ed è con Afgrunden che fa il suo ingresso nel mondo del cinema la stella di Asta Nielsen: il suo fu primo nome (e il primo volto) universalmente (ri)conosciuto nel mondo del cinema: se prima i titoli dei film venivano accompagnati col marchio di fabbrica, ovvero il nome della casa di produzione da cui erano stati realizzati, dopo il film-fenomeno Afgrunden, per la prima volta, la pubblicità avrebbe iniziato a declamare “un film con Asta Nielsen”. Con lei si aprivano le porte al divismo delle attrici, che apparve subito dopo in Italia con Lyda Borelli, Francesca Bertini, Pina Menichelli e le altre. Eppure, anche se è lecito affermare che il fenomeno del divismo comincia da qui, Asta Nielsen non fu una diva, ma la prima vera attrice cinematografica. Il suo stile di recitazione, sorprendentemente moderno, perlopiù spoglio ed essenziale eppure intenso e magnetico, s’inserisce nel solco di quella del teatro di Sarah Bernhardt ed Eleonora Duse e va a scardinare completamente i tre lustri precedenti di un cinema dominato da goffe pantomime a base di occhi spalancati e gesti plateali.

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Proveniente da una famiglia povera e appassionata di recitazione sin da ragazzina, la Nielsen sfidò l’autorità della madre (che la voleva commessa) e le convenzioni sociali quando, rimasta incinta, preferì fare la ragazza madre che la moglie per forza. E si diede al teatro, a Copenaghen e in giro per la Scandinavia, ma senza riuscire a sfondare. Aveva già quasi trent’anni quando Urban Gad, scenografo teatrale e nipote di Paul Gauguin, la scelse per il ruolo da protagonista di Afgrunden, che segnò l’ingresso di entrambi nel cinema. Due anni dopo i due si sposarono e il loro sodalizio continuò per circa cinque anni e oltre venti film, i primi in Danimarca, i successivi in Germania, dove la coppia si trasferì già nel 1911. Successivamente, la Nielsen lavorò, fra gli altri con Pabst in Die freudlose Gasse (La via senza gioia, 1925), a fianco di una ancora principiante Greta Garbo. Sia la Nielsen che Gad abbandonarono il cinema verso la fine degli Anni Venti.

Vittorio Renzi  (27 ottobre 2016)

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Afgrunden (L’abisso)

[The Abyss / a.k.a The Woman Always Pays]

Danimarca, 1910

regia e sceneggiatura: Urban Gad

fotografia: Alfred Lind

produzione: Hjalmar Davidsen, per Kosmorama

distribuzione: Nordisk Film

cast: Asta Nielsen (Magda Vang), Robert Dinesen (Knud Svane), Poul Reumert (Rudolf Stern), Hans Neergaard (pastore Peder Svane), Hulda Didrichsen (sig.ra Svane), Emilie Sannom (Lilly d’Estrelle), Oscar Stribolt (Kellner)

lunghezza: 3 rulli, 750 metri

durata:  37′

data di uscita: 12 settembre 1910

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Asta Nielsen


[1] Oggi potremmo parlare, per questa scena, di bondage e dominazione/sottomissione, che si aggiungono a un rapporto già abbastanza sadomasochista. E del resto, anche se non è questo il caso, un cinema pornografico esisteva già allora, seppure clandestino e fuori dai circuiti canonici.

[2] Ron Mottram, Otto film danesi delle origini (1907-1915), in P. Cherchi Usai (a cura di), Schiave bianche allo specchio. Le origini del cinema in Scandinavia (1896-1918), Pordenone, Studio Tesi, 1986, p. 291.

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