Buster Keaton e Jack Blystone
SINOSSI: Nella cittadina di Rockwell, le famiglie McKay e Canfield sono afflitte da un’eterna faida. I due capi famiglia si scontrano a duello e si uccidono a vicenda lasciando alla loro prole l’amaro compito della vendetta . Il piccolo Will McKay viene tratto in salvo e affidato a una zia che vive a New York. Vent’anni dopo, William, cresciuto all’oscuro della faida tra le due famiglie, si trova a ereditare tutti i possedimenti dei McKay e deve perciò recarsi a Rockwell per prenderne possesso. Durante il viaggio in treno conosce Virginia, che si rivelerà poi essere figlia di Joseph Canfield, attuale capofamiglia dei Canfield. La ragazza lo invita a cena. Ma dal momento in cui i Canfield scoprono che il giovane è un McKay, tentano in ogni modo di ucciderlo, tranne quando si trova tra le loro mura domestiche, per rispetto della legge dell’ospitalità. Ma il mattino seguente, costretto ad andarsene, McKay fugge con la ragazza e i due finiscono in un fiume, rischiando di precipitare da una cascata. Si salvano e si sposano in segreto e così i Canfield sono costretti ad accettare il nuovo status quo.
Our Hospitality è il secondo lungometraggio di Keaton. Il grande salto era avvenuto pochi mesi prima con The Three Ages (L’amore attraverso i secoli, 1923), una rilettura comica di Intolerance (1916) di Griffith. Lo stesso Chaplin, dopo il suo fortunatissimo mediometraggio in sei bobine The Kid (Il monello, 1921) esordì nel lungometraggio vero e proprio in quell’anno, con A Woman of Paris (La donna di Parigi, 1923).
La sequenza introduttiva (dal tono serissimo) di Our Hospitality, che fa molto melodramma western alla Griffith, ci illustra la storia sanguinosa della rivalità fra due famiglie. Ma è proprio questo avvio “serioso” che va ad innescare, per contrasto, la comicità della vicenda, presentata lungo l’arco dell’intero film, come un fuoco di fila di gag pressoché ininterrotte che lo rendono uno dei più divertenti di Keaton. Con piglio da storico, Keaton ci informa, tramite un cartello, che la zona in cui avviene l’azione successiva, ovvero il crocevia tra la Quarantaduesima Strada e Broadway, è stata accuratamente ricostruita in studio a partire da una foto del 1830 (ma il presente del racconto viene fatto coincidere con il 1825, data dell’invenzione della ferrovia). La comicità qui scatta dal contrasto tra l’accuratezza della ricostruzione scenografica e la parodia di una concezione di traffico urbano tutta moderna, ma inserita in un contesto arcaico: l’incrocio appare infatti intasato dal traffico delle carrozze, con tanto di sceriffo a fare da vigile urbano, che impone addirittura a un calesse di fare marcia indietro, per poi esclamare: «Questo diventerà un incrocio pericoloso!».
Sulla sequenza del viaggio in treno di Will, Keaton va a costruire una delle sequenze più divertenti: il sobbalzare continuo dei passeggeri in questo treno “primitivo”, con i binari che attraversano il paesaggio senza mai deviare, ma anzi adattandosi in modo grottesco ad ogni ostacolo (tranne la variabile imprevista di un mulo che blocca il passaggio e allora il macchinista, non riuscendo a spostarlo, sposta le rotaie!); il lancio di oggetti fra un vecchio a terra e il macchinista (il primo gli lancia delle pietre; il secondo risponde lanciandogli i ciocchi di legna da ardere che il vecchio raccoglie tutto contento, avendo raggiunto il suo scopo. In seguito Katon farà del treno lo scenario centrale di uno dei suoi film più noti e più amati (anche da lui stesso), ovvero The General (Come vinsi la guerra, 1926).
Dal momento in cui arriva a Rockwell, Will diventa un bersaglio umano, ma, essendo all’oscuro dell’odio di cui è oggetto da parte dei Canfield, non riesce a interpretare gli incidenti che gli capitano per quello che realmente sono, e cioè degli attentati alla sua vita. Nella lunga carrellata “a singhiozzo” in cui cammina per la strada con uno dei figli di Canfield, Will non capisce il motivo per cui questi si ferma a bussare alla porta di ogni casa allo scopo di chiedere ai rispettivi abitanti se possono prestargli una pistola. E lo stesso vale per gli agguati che gli vengono tesi successivamente mentre sta pescando o sulla diga. Il culmine della comicità, verso la metà del film si innesca nel momento in cui Will si rende conto di quanto sta realmente accadendo e che l’unico luogo in cui è in salvo, grazie alla legge dell’ospitalità, è proprio la “tana del lupo”, ovvero la casa dei Canfield. La sua strategia difensiva perciò assume tutti i connotati ossimorici di una fuga al contrario. Le gag a questo punto iniziano a moltiplicarsi e a crescere in velocità, di pari passo con il crescendo dello stato di allarme del povero Will, che ora non può più chiudere gli occhi (anzi, ne chiude uno solo, durante la preghiera a tavola con i Canfield) e interpreta oramai ogni più piccolo segnale come possibile attentato nei suoi confronti, persino il ritornello della canzone che la ragazza suona al pianoforte: «We’ll miss you when you’re gone» («Ci mancherai quando te ne sarai andato», che gioca ovviamente sul doppio significato di gone: andato/morto).
Dopo che è stato costretto a uscire di casa, le strategie di sopravvivenza di Will si fanno sempre più astute e ingegnose, come quella del cavallo di spalle, col vestito e l’ombrello legati in sella, per confondere i suoi nemici. Infine, la sequenza del fiume, girata sul Truckee River, ha un ritmo talmente convulso e tanti e tali ribaltamenti della sorte dei due personaggi coinvolti (Will e uno dei figli di Canfield) da ricordare, col senno di poi, la dimensione surreale e ipercinetica di certi cartoons dei Warner Bros o della Hanna-Barbera di diversi decenni dopo che, del resto, devono tantissimo ai comici dell’era del muto. Come sempre, il mondo keatoniano si basa sul paradosso e sul rovesciamento dei significati di oggetti e azioni, «un universo narrativo dominato dall’incertezza, da cose che non rispettano il proprio ruolo, anche se poi sembrano rimettersi a posto da sole»[1]. L’oggetto “ribelle” è qui una fune che cambia continuamente funzione, da positiva a negativa, in modo alternato, costituendosi di volta in volta come strumento di salvezza e, subito dopo, di pericolo mortale, in modi sempre più fantasiosi e imprevedibili, ma seguendo una ferrea legge di causa ed effetto (Buster Keaton non perdeva mai d’occhio la verosimiglianza della situazione e dell’azione, per quanto bizzarre o surreali fossero). Fino ad arrivare alla sequenza della cascata, ambientazione che fu ricostruita in studio, col salvataggio al volo di Virginia in stile Douglas Fairbanks.
Nell’ultima immagine, dopo il matrimonio, quando tutto sembra oramai sistemato e la famiglia Canfield è pronta ad accoglierlo senza riserve nel suo seno, Will si rivela essere un arsenale umano, con armi nascoste in ogni dove, perché con quella famiglia lì non si sa mai. E, a proposito di famiglia, in questo film compaiono, oltre alla moglie, sia il padre di Buster, Joe Keaton, nel ruolo del macchinista del treno, sia il piccolo James, ancora in fasce, primo dei due figli avuti con Natalie Talmadge (sorella di Norma e Constance), nel ruolo di McKay da bebè.
Vittorio Renzi (4 novembre 2016)
Our Hospitality (Accidenti che ospitalità!)
[A.K.A. La legge dell’ospitalità]
Usa, 1923
regia: Buster Keaton e John G. “Jack” Blystone
sceneggiatura: Clyde Bruckman, Jean Havez, Joseph Mitchell
fotografia: Elgin Lessley e Gordon Jennings
montaggio: [Buster Keaton]
scenografia: Fred Gabourie
costumi: Walter Israel
produzione: Joseph M. Schenck, per Joseph M. Schenck Productions
cast: Buster Keaton (William McKay), Natalie Talmadge (Virginia Canfield), Joe Roberts (Joseph Canfield), Joe Keaton (ingegnere), Ralph Bushman (figlio maggiore dei Canfield), Craig Ward (figlio minore dei Canfield), Kitty Bradbury (la zia), Monte Collins (parroco), James Duffy (Sam Gardner), Joseph Keaton Talmadge (Willie McKay a 1 anno)
lunghezza: 7 rulli, 1.880 metri
durata: 73’
data di uscita: 3 novembre 1923
[1] Giorgio Cremonini, Buster Keaton, Milano, Il Castoro, 1995, p. 48.