Die Spinnen (I ragni, 1919-1920)

Fritz Lang

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SINOSSI: Prima parte: Der Goldene See (Il mare dorato). Da un messaggio trovato in una bottiglia in mare, si viene a sapere che sul fondo del Lago Dorato, in Messico, esisterebbe un grande diamante a forma di testa di Buddha i cui poteri potrebbero assicurare la liberazione dell’Asia dal giogo straniero e il dominio sul mondo. I servizi segreti dell’India vogliono impossessarsene e affidano l’incarico a Lio Sha, capo dell’organizzazione criminale dei Ragni. A metterle i bastoni fra le ruote ci pensa Kay Hoog, uomo di mondo americano, che intende ostacolare i piani dei Ragni e mettere al sicuro il diamante. Hoog si reca in Messico, salva una principessa inca, Naela, dalla distruzione della città sotterranea in cui vive; tornato a San Francisco la sposa, ma i Ragni la uccidono.
Seconda parte: Das Brillantenschiff (La nave dei diamanti). I Ragni credono che il diamante è in possesso del miliardario londinese John Terry e inviano uno dei loro uomini, John Quattrodita, a sorvegliarlo in veste di maggiordomo. Frattanto, Kay Hoog si introduce nella città cinese sotterranea situata sotto a San Francisco e scopre così i loro piani. Alla fine Lio Shia e i Ragni rapiscono la figlia di Terry, Ellen, mentre Hoog viene a sapere che il diamante si trova nelle caverne di un’isola delle Falkland e si dirige lì con una nave. Ma i Ragni lo aspettano al varco.

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Innanzitutto dovrei dire: io sono una persona che guarda. Recepisco le esperienze solo attraverso gli occhi…

(Fritz Lang)[1]

Al momento di passare dietro alla macchina da presa, il viennese Fritz Lang ha ventinove anni ed è uno sceneggiatore di successo. Nel suo passato si assommano gli studi di architettura (come il padre), indirizzo lasciato ben presto per la pittura e la scultura, una serie di viaggi in Europa, Africa, India ed Estremo Oriente. Infine, un anno prima di partire volontario per la Grande Guerra, un anno di soggiorno a Parigi. E’ qui che Lang si appassionò al cinema, soprattutto a quello popolare e seriale (Fantomas, Louis Feuillade, 1913), così come era sempre stato un appassionato della letteratura fantastica e d’avventura (Alexandre Dumas, Jules Verne). Aveva cominciato a scrivere soggetti in ospedale, dopo essere stato ferito in guerra. Due di questi furono acquistati da Joe May (anche lui di Vienna), ma Lang non apprezzò affatto i film che ne vennero tratti, oltre al fatto che il suo nome non compariva nei credits. Erich Pommer lo notò mentre lavorava a teatro come attore e gli offrì un contratto alla Decla. Lì scrisse altre sceneggiature e ricoprì diversi ruoli in uno di questi film. Ma il suo obiettivo era la regia. Finalmente, nel 1919 Pommer gli affidò, oltre alla sceneggiatura, la regia di un film. Si trattava di Hallblut (t.l. Mezzosangue), un melodramma erotico, seguito pochi mesi dopo da Der Herr der Liebe (t.l. Il signore dell’amore), un’avventura gotica ambientata nei Carpazi, quest’ultimo scritto da Oscar Koffler. Entrambi ebbero una buona accoglienza e, sin da subito, ci fu chi si accorse della regia raffinata di Lang. Entrambi i film purtroppo sono andati perduti. Ma il 1919 era appena cominciato, e fu per Lang un anno decisivo e frenetico.

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Die Spinnen fu concepito come un film seriale dal titolo «Avventure di Kai Hoog in mondi noti e ignoti». Negli Anni Dieci, i film seriali, fossero comici o di avventura, come in questo caso, erano un investimento molto gradito dalle case di produzione, che vi vedevano una fonte sicura di incassi a lungo termine. Parallelamente alla lavorazione del film, Lang scrisse anche un romanzo sullo stesso tema. Ma dei quattro episodi inizialmente progettati ne furono realizzati soltanto due: Der Golden See (t.l. Il lago d’oro) e Das Brillantenschiff (t.l. La nave dei diamanti), mentre rimasero sulla carta il terzo e il quarto episodio: Das Geheimnis der Sphinx (t.l. Il segreto della Sfinge) e Um Asiens Kaiserkrone (t.l. Per il bene della Corona Imperiale dell’Asia).

Tra il primo episodio (uscito nell’ottobre del 1919) e il secondo (febbraio 1920), Lang si trovò a dirigere Harakiri (1919), scritto da un altro sceneggiatore. Non solo: Pommer gli propose anche la regia di un film scritto da Carl Mayer, Das Cabinet des Dr. Caligari (Il gabinetto del dottor Caligari, 1920). Lang aveva già iniziato a fornire alcune idee e indicazioni per modificare il testo di partenza, quando il progetto gli fu tolto dalle mani: bisognava finire in fretta Die Spinnen. E così il compito passò al veterano Robert Wiene. E a noi rimarrà per sempre la curiosità di sapere come sarebbe stato quel film, così visionario, ma anche così statico, con una regia dinamica come quella di Lang, il quale di sicuro non si sarebbe accontentato di “nascondersi” dietro alle scenografie dipinte di Walter Reimann e Walter Röhrig.

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Misteriose organizzazioni criminali, complotti, viaggi, trappole, caverne, sotterranei, mappe del tesoro. Esotismo, esoterismo e ipnosi. Dagli inca, ai cinesi, agli indiani. Dal film di spie, al western (altra sua passione giovanile), all’avventura, all’horror, Die Spinnen rivela già la visione di Fritz Lang di un cinema che sia, prima di tutto un grande spettacolo, uno spettacolo totale, pieno di senso del meraviglioso e dell’orrorifico, di tensione e di avventura. Di qui anche l’attenzione maniacale per ogni dettaglio e per ogni aspetto tecnico del film. Gli scenari furono ricostruiti nel parco del giardino zoologico Hagenbeck di Amburgo e per le riproduzioni di edifici, le sculture inca e i costumi, Lang si avvalse della consulenza, fra gli altri, dello studioso Heinrich Umlauff, fondatore del Museo Etnografico di Amburgo, così come per il successivo Harakiri. Come ha scritto Michel Ciment:

Il film mette in rilievo le due facce del talento di Lang. Nel primo [episodio] s’impone il gusto per l’esotismo, nel secondo compare per la prima volta la città moderna – di cui New York è il prototipo – con i suoi grattacieli, le hall degli hotel, ma anche i circuiti della televisione interna che permettono al cervello criminale di Lio-sha di controllare tutto, i suoi rifugi sotterranei, i suoi passaggi segreti che ritroveremo nell’opera futura del cineasta.[2]

E così Lotte Eisner:

Le pareti (nelle cantine dove si riunisce l’organizzazione de I ragni) si aprono, ascensori e botole conducono nelle cantine, porte scorrevoli offrono vie di fuga nascoste e trappole per i nemici […] Il boudoir di Lio-Sha è altrettanto stravagante. Il suo arsenale meccanico comprende una scrivania che viene inghiottita dal pavimento e uno specchio circolare nel quale si vede quanto succede nella sala di riunione, un’anticipazione dello schermo televisivo di Metropolis (1927) e di quelli de Il diabolico dottor Mabuse.[3]

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Die Spinnen è l’Universo Lang prima del Big Bang: contiene già tutti gli elementi tipici del suo cinema, ma il tutto è ancora in uno stato embrionale, abbozzato. Rispetto al grande cinema langhiano ancora di là da venire, in cui prenderanno piede l’influenza per le saghe fluviali, i poemi epici e l’attenzione per l’interiorità e la psicologia umana, qui tutti questi ingredienti sono presenti a un livello ancora grezzo, potremmo dire fumettistico. I personaggi, sia buoni che cattivi, sono tutti bidimensionali. Nessuno dei Ragni ha lo spessore di un Mabuse e del resto il cast non è certo al livello di un Rudolf Klein-Rogge. Ma al di là degli attori, c’è da dire che è proprio il dittico in sé a non offrire quella lettura sommersa e consapevole che offrono alcuni dei capolavori degli anni successivi. Eppure la visionarietà del regista è già ben presente in almeno una scena, verso la metà della seconda parte: quella in cui lo yogi All-hab-mah, sotto ipnosi (anzi, “ipno-telepatia”, ci informa un intertitolo!) rivela ai Ragni chi è in possesso del prezioso diamante a forma di Buddha.

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Ciò che invece può essere interessante è rintracciare alcuni nodi stilistici ed estetici che caratterizzano sin da ora il cinema di Lang. Il suo talento narrativo, innanzitutto, che nella fattispecie consiste nel dominare già con grande scioltezza i vari accadimenti e i numerosi personaggi in cui si articola la pur semplice trama dei due film. E questo talento si esplica in particolar modo nell’uso già moderno del montaggio narrativo per scandire cambiamenti di scena e ambienti, stacchi temporali, flashback, nonché per infondere ritmo e tensione nelle singole scene, ricorrendo anche al montaggio interno, ovvero alla profondità di campo. Non solo, l’alfabeto cinematografico di Lang prevede già il ricorso a primi e primissimi piani, dettagli (a profusione), sovrimpressioni, dissolvenze incrociate, oltre e a un’abilità magistrale nel gestire scene con molte comparse. Tutti i “trucchi”, ma ormai è meglio dire le conoscenze tecniche e linguistiche del mezzo, sono usate in piena consapevolezza per ottenere i propri scopi.

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Un’altra caratteristica che si può notare, sin dalle prime scene, è un uso del tutto particolare che Lang fa dello sguardo in macchina da parte dei personaggi. Non si tratta dell’uso puramente interlocutorio tipico ad esempio dei protagonisti dei film comici; la sua funzione è, a un primo livello, senz’altro quella di dare un segnale di allarme allo spettatore, di avvertirlo, dandogli modo d’identificare, in mezzo a un gruppo di personaggi – e prima che questi se ne accorgano – chi sia il villain di turno e quali mire abbia. E’ il caso ad esempio del personaggio di Lio Sha, la malvagia leader dei Ragni, nel momento in cui nota il messaggio nella bottiglia tenuto in pugno da Kay Hoog. Grazie a quello sguardo perverso che ci rivolge, noi capiamo immediatamente che la donna è intenzionata ad appropriarsi di quell’oggetto e a che, nel far questo, incrocerà nuovamente la strada del protagonista avventuriero (una sorta di Indiana Jones ante litteram, anche se molto meno carismatico…). Ma, più profondamente, la funzione di questi sguardi in macchina è anche e soprattutto quella di “catturare” lo spettatore, di intercettare e imprigionare il suo sguardo nella fascinazione del film. Certo, tutto qui è ancora un livello molto grezzo, come dicevo, ma scopriremo otto anni dopo in Metropolis (1927) fino a che punto si spingerà e che effetto avrà questo “tic” langhiano. Stesso discorso e stesso riferimento al film del 1927 valgono per la figura della donna e per la sua collocazione simbolica nello spazio:

E l’avventuriero Kay Hoog passa continuamente  da un mondo di superficie a un universo sotterraneo (…). Sopra vagano quasi incorporee le fanciulle ideali, spose e sorelle (Naela, Ellen Terry), sotto invece incontriamo il prototipo della ragazza acciaio e veleno: Lio Shia. L’eterno femminino è un mistero insondabile come la psiche umana.[4]

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Il regista è coadiuvato qui dal moravo Karl Freund, uno dei più grandi direttori della fotografia e operatori del cinema muto, che all’epoca aveva già una discreta carriera alle spalle, avendo collaborato a film di registi quali Urban Gad, Rudolf Biebrach, Max Reinhardt e Robert Wiene. Di lì a poco diventerà l’operatore preferito anche di Lang, Murnau e Dupont.
Die Spinnen fu considerato perduto per decenni, finché non ne fu rinvenuta una copia negli anni ’70 sulla quale, nel 1978, venne effettuato il restauro.

Vittorio Renzi (18 febbraio 2016)

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Die Spinnen (I ragni)

[The Spiders]

1. Teil – Der Goldene See (t.l. Il mare dorato)

2. Teil – Das Brillantenschiff (t.l. La nave dei diamanti)

Germania, 1919-1920

regia e sceneggiatura: Fritz Lang

fotografia: Karl Freund e Emil Schünemann

musica: Max Josef Bojakowski

scenografia: Hermann Warm, Otto Hunte,

Heinrich Umlauff e Carl Ludwig Kirmse

produzione: Erich Pommer, per OHG Decla-Filmgesellschaft

cast: Carl de Vogt (Kay Hoog), Ressel Orla (Lio Sha), Lil Dagover (Naela), Rudolf Lettinger (John Terry), Thea Zander (Ellen Terry), Edgar Pauly (John Quattrodita), Georg John (dott. Telphas), Riner steiner (capitano della nave), Friedrich Kuehne (All-Hab-Mah), Paul Morgan (“Ragno” ebreo), Meinhart Maur (“Ragno” cinese), Paul Biensfeldt, Harry Frank

lunghezza: 1.951 metri (parte I), 2.815 metri (parte II)

durata:  81′ (parte I), 104′ (parte II)

première: Berlino, 3 ottobre 1919

data di uscita: 18 dicembre 1919 (prima parte), 

13 febbraio 1920 (seconda parte)


[1] Lotte H. Eisner, Fritz Lang, Milano, Mazzotta, 1978, p. 9.
[2] Michel Ciment, Fritz Lang, le meurtre et la loi, Gallimard, 2003, p. 24 (traduzione mia).
[3] Eisner, op. cit., p. 35.
[4] Stefano Socci, Fritz Lang, Milano, Il Castoro, 1994, p. 21.

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