Tod Browning
SINOSSI: Alonzo, un circense privo di entrambe le braccia ma abilissimo con i piedi, ama segretamente Nanon, ma ha come suo rivale il forzuto Malabar. Nanon, che ha orrore per le mani degli uomini, dato che cercano sempre di toccarla, si sente al sicuro solo con Alonzo, mentre disdegna la corte di Malabar. In realtà Alonzo non solo ha entrambe le braccia, ma è un assassino ricercato dalla polizia. Per travestirsi, nasconde le braccia sotto a un corpetto, evitando di essere riconosciuto per la particolarità di avere un doppio pollice in una mano. Solo il suo amico Cojo, un nano, conosce il suo segreto. Ma una sera, per caso, Zanzi, il padrone del circo e padre di Nanon scopre la verità e Alonzo lo uccide. Il circo si scioglie e Alonzo, per conquistare Nanon, si fa amputare entrambe le braccia. Di ritorno dall’operazione scopre però che Nanon ha superato la sua fobia e ha deciso di sposare Malabar. Furioso, Alonzo escogia una tremenda vendetta, ma gli si ritorcerà contro nel più terribile dei modi.
Ancora un circo, per Tod Browning, che era stato un circense a sua volta, prima di entrare nel mondo del cinema. E ancora un freak, la cui mostruosità è a vari livelli: fisico, per via del pollice in più; morale, poiché è un impostore che si finge un freak; e infine psicopatologico, in quanto la sua ossessione per Nanon lo spinge a diventare realmente ciò che fino a quel momento aveva solo finto di essere. Il trasformismo e il travestitismo di Lon Chaney ai massimi livelli, una delle più incredibili e giustamente celebrate performance di tutto il cinema muto. Non tanto per la bizzarria di vederlo fumare, suonare la chitarra o lanciare coltelli coi piedi (scene in cui fu usata una controfigura, realmente senza braccia), quanto per la grande abilità con cui padroneggia la vasta gamma di emozioni del suo personaggio e le sue diverse sfaccettature. Infatti Alonzo è in superficie – ovvero la faccia che mostra ai suoi compari del circo – un tenero disabile, benvoluto da tutti, sempre umile, gentile e sorridente. La sua vera natura, quella che emerge soltanto quando è lontano dagli sguardi altrui e in presenza del solo Cojo, è invece quella di un feroce omicida e ce ne rendiamo conto nel momento in cui lo vediamo strangolare Zanzi senza pensarci due volte, e anzi provandoci gusto. Ma non è tutto. Il tratto forse più memorabile di questo personaggio non è tanto il suo sadismo, ma il suo lato masochista.
Il fatto che sia così assurdo che un uomo decida di fingersi senza braccia per la maggior parte del suo tempo potrebbe rendere la storia poco plausibile; ma in mano a Chaney, questo freak diviene ancor più mostruoso, in senso anche etimologico: al tempo stesso prodigioso e contro natura. Di prodigioso c’è l’abilità si Alonzo con i piedi: in una delle prime scene lo vediamo sparare con i piedi verso Nanon, su una piattaforma girevole, e maliziosamente, spogliarla poco a poco con i suoi colpi. Per poi lanciarle, subito dopo, dei coltelli tutt’intorno al suo corpo. Egli ci appare contro natura nel sottoporsi a uno sforzo, quello di celare le braccia nello stretto corsetto, che sarebbe inconcepibile per qualsiasi altro essere umano, e che gli provoca anche molto dolore. Quando poi, per amore di Nanon, arriva al punto di decidere di farsele amputare realmente, convinto che in tal modo lei lo amerà, Alonzo non raggiunge affatto il minimo della plausibilità (e il rischio era assai grande), bensì l’apoteosi della sua masochistica perversione, il che lo rende un personaggio davvero unico nel panorama del cinema dell’orrore.
Il fatto di immolare se stessi per amore, questo lato grottescamente patetico riscontrabile in quasi tutti i mostri del cinema classico, nel caso di Alonzo diviene occasione per il massimo dell’abominio: voler modificare il proprio destino modificando la sua stessa carne in modo atroce e irreversibile. Nel momento in cui prende quell’assurda decisione, il suo volto di trasforma in una maschera di tragica esaltazione. E quando alla fine si ripresenta a Nanon, così tragicamente mutilato (un sacrificio che lei neanche può notare, dal momento che lo ha sempre creduto privo degli arti superiori) e apprende dalle sue stesse labbra che è innamorata di Malabar, Alonzo inizia a ridere. Ride, ride e non si ferma più. E qui Lon Chaney toglie il fiato e supera se stesso: il suo Alonzo ride e piange al tempo stesso, più folle e disperato di quanto non sia mai stato, uguagliato forse solo da Choi Min-sik nel finale di Oldboy (2003), di Park Chan-wook. Non a caso, anche uno storico del cinema come William K. Everson, che mostra di non amare molto i film di Browning, – «Per lo più erano storie crudeli, perverse, eccessivamente morbose» – afferma che il loro successo «può essere attribuito unicamente alle incredibili performance da pantomima di Lon Chaney, che certamente li traevano in salvo dalla loro mediocrità»[1].
Un giudizio, quello su Browning, alquanto ingeneroso, soprattutto per quanto riguarda questo film. Basterebbe citare la sequenza finale, in cui Browning fa convergere tutti gli avvenimenti e i temi del film raggiungendo il climax dell’intreccio dei destini dei tre personaggi principali (Alonzo, Nanon e Malabar), che si dipana fra le direttrici degli sguardi di desiderio fra i due amanti e dell’odio dissimulato di Alonzo, pronto a consumare un’atroce vendetta (di cui però rimarrà vittima lui stesso). Inquadrature dal basso e dall’alto, montaggio alternato di primi piani e dei cavalli a cui Malabar, legato, si prepara per un numero di esibizione della sua forza. Un finale che è un crescendo vertiginoso di ritmo e tensione e che potrebbe appartenere al miglior Hitchcock.
Joan Crawford (il cui vero nome era Lucille Fay LeSueur), qui poco più che ventenne, è di una bellezza sfolgorante, sensualissima nel ruolo dell’ingenua Nanon. L’attrice, nata a San Antonio, era comparsa già in un discreto numero di pellicole, ma non era ancora famosa. La parte di Nanon in The Unknown fu uno dei suoi primissimi ruoli di primo piano e contribuirà a lanciare la sua splendida e fortunata carriera. Molti anni dopo, l’attrice dichiarò di aver imparato più da Lon Chaney, in quanto a recitazione, che da qualsiasi altro attore o regista con cui avesse mai lavorato in seguito.
La durata di appena 49 minuti del film, inconsueta per quel periodo, non corrisponde in effetti a quella originale: sono tuttora mancanti le scene della prima parte che mostrano le vicissitudini che hanno portato Alonzo a nascondersi in un circo e a fingersi un uomo senza braccia.
Il tema delle mani mostruose e omicide, che ossessionano e terrorizzano era stato già affrontato in passato, ad esempio in The Hands of Orlac (Le mani di Orlac, 1924), di Robert Wiene, e tornerà più volte nel cinema dell’orrore: l’esordio alla regia di Oliver Stone si intitola proprio The Hand (La mano, 1981).
Vittorio Renzi (22 febbraio 2016)
The Unknown (Lo sconosciuto)
Usa, 1927
regia e soggetto: Tod Browning
sceneggiatura: Waldemar Young
fotografia: Merritt B. Gerstad
montaggio: Harry Reynolds e Errol Taggart
scenografia: Richard Day e Cedric Gibbons
costumi: Lucia Coultier
produzione: Louis B. Mayer, per Metro-Goldwyn-Mayer Pictures
cast: Lon Chaney (Alonzo), Joan Crawford (Nanon Zanzi), Norman Kerry (Malabar), Nick De Ruiz (Antonio Zanzi), John George (Cojo), Frank Lanning (Costra), John St. Polis (chirurgo), Louise Emmons,
lunghezza: 6 rulli, 5517 piedi
durata: 49′ (orig. 63′)
première: 4 giugno 1927
[1] William K. Everson, American Silent Film, New York, Da Capo Press, 1978, p. 221 (traduzione mia).