A Dog’s Life (Vita da cani, 1918)

Charles Chaplin

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SINOSSI: Il vagabondo vive in un rudere pieno di spifferi, è braccato dalla polizia per i suoi piccoli furti e non riesce a trovare lavoro perché è troppo lento agli sportelli. Un giorno salva il piccolo Scraps da un branco inferocito di altri cani randagi e inizia a portarselo dietro nei suoi vagabondaggi. In un locale di quart’ordine incontra una giovane cantante timida e squattrinata, ma vengono buttati fuori entrambi. Nel frattempo, due ladri rubano il portafogli a un riccone ubriaco e lo nascondono proprio nella catapecchia dove dorme il vagabondo. Scraps, scavando nel terreno lo trova e l’omino torna tutto trionfante nel locale da dove era stato buttato fuori, dove ritrova la cantante. Dopo una serie di peripezie, i due, in possesso del denaro sottratto ai ladri, riusciranno a comprarsi un piccolo podere e a trovare la felicità.

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Innumerevoli le gag di quello che è senza dubbio uno dei più migliori cortometraggi di Chaplin il quale, dopo il contratto proficuo contratto con la Mutual, firma ora la prima delle sue opere per la First National (costituitasi un anno prima per fronteggiare la Paramount di Zukor) con la quale rimarrà fino al 1923, per passare poi alla United Artists. E Chaplin, dal canto suo, diventa finalmente produttore di se stesso. Se già da tempo era in atto una progressiva trasformazione del vagabondo da pura maschera a personaggio a tutto tondo, è proprio con questo film che l’autore inizia a sganciarsi definitivamente dalla mera esecuzione di meccanismi comici puri, al limite dell’astratto, per approfondire invece sia la trama che il suo stesso personaggio. Si fa sempre più prevalente l’esigenza di una storia e di uno sguardo più reale sul mondo: «Cominciavo a pensare alla comica in senso strutturale, prendendo atto sempre di più della sua forma architettonica. Ciascuna sequenza implicava quella successiva, e tutte quante erano collegate tra loro»[1].

Inevitabile, di lì a pochi anni, l’abbandono del corto e del mediometraggio in favore di opere di più ampio respiro.

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A Dog’s Life è quindi, a conti fatti, la prima vera opera indipendente di Charlie Chaplin. Già il titolo di questo corto parla chiaro: Chaplin si ancora alla realtà sociale, coniugando la farsa ad uno sguardo partecipe verso quel mondo dei poveri e dei meno fortunati dai quali lui stesso proveniva. La gag nell’ufficio di collocamento, nella quale il Vagabondo, ad ogni tentativo di avvicinarsi allo sportello viene sopravanzato da un altro disoccupato affamato che gli soffia il lavoro per un pelo, per un totale di dieci smacchi da parte di altrettanti concorrenti, parla della solita guerra tra poveri, sottolineata subito dopo nel combattimento fra cani randagi durante il quale salva il piccolo Scraps. Ma rivela anche una peculiarità del Vagabondo, rispetto agli altri, che è poi una delle cause dell’effetto comico: il suo muoversi in un “tempo sbagliato”, rispetto al tempo del mondo intorno a lui. Ma quando, anziché doversi adeguare alle modalità altrui, deve sbrogliarsela da solo con i propri espedienti, lì diventa abilissimo e il suo tempo è perfetto: quando sfugge al poliziotto rotolando da una parte all’altra dello steccato e slacciandogli le scarpe; o i suoi furti dei panini al venditore del chiosco (interpretato da Sydney, il fratello maggiore di Charlie).

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Il modo anarchico e divertito con cui il Vagabondo si prende gioco del poliziotto, con tanto di calcio nel sedere finale, riecheggia lo stesso gesto dissacrante già visto in The Immigrant (L’emigrante, 1917), e criticato da Sydney Chaplin, uomo pratico e coscienzioso, assai preoccupato della scanzonata irriverenza del fratello. Ma per Charlie il comportamento del suo Vagabondo, oltre che buffo, è sacrosanto: così come gli è solidale (rendendo complici gli spettatori) nel momento in cui, affamato, ruba il cibo da sotto il naso del venditore del chiosco, non appena volta la testa. Quasi un riflesso incondizionato quello della sua mano che si allunga e afferra il cibo. E’ la fame che comanda, non si tratta di una scelta. Il furto a volte è una semplice necessità per sopravvivere.

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Altrove Chaplin mette a segno delle trovate geniali, che vanno dal surreale al puro slapstick, come quella della coda di Scraps che spunta da un buco nei pantaloni dove lo ha nascosto, mentre gli avventori del locale credono di vedere un uomo con la coda. Quella stessa coda che poi, in prossimità di un tamburo, inizia a colpirlo ritmicamente, dal momento che il cane sta evidentemente scodinzolando. O, più avanti, il cane usato come cuscino, salvo poi grattarsi per via delle pulci. Oppure la cantante Edna che canta una canzone triste e tutti iniziano a piangere, compresa una grassa signora (interpretata in realtà dal corpulento Henry Bergman), la cui faccia si trasforma in una fontana di lacrime; o, ancora, la scena del ballo, con il Vagabondo che si busca una serie di spallate al mento della goffa Edna, mentre la suola di una delle sue scarpe rimane appiccicata al suolo per via del chewing gum sputato in terra dalla donna cicciona di prima. E, infine, la lunga, esilarante  scena in cui uno dei due ladri viene prima tramortito, poi usato come un burattino dal Vagabondo, agguerritissimo e geniale, che  muove le mani sotto le ascelle dell’uomo, per farlo sembrare sveglio al suo compare seduto al tavolo con lui, performance al termine della quale il Vagabondo riesce a riprendersi il portafogli gonfio di dollari.

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Edna Purviance torna, per l’ennesima volta, nei panni della ragazza timida, ingenua, impacciata e adorabile. Una partner ideale e, dopo tanti anni, ancora insostituibile. E’ la perfetta controparte del personaggio chapliniano. Entrambi poveri in canna, sì, ma non solo: entrambi fuori dai giochetti e dalle strategie dell’uomo comune, egoista profittatore e furbo. I due mancano di furbizia, “non ci sanno fare”, non sanno stare al mondo. La ragazza, infatti, viene spronata dall’impresario del locale a flirtare con i clienti, ma lei non ci riesce. Ci prova goffamente con il Vagabondo che, ovviamente, non capisce minimamente i suoi approcci e i suoi ammiccamenti, e pensa anzi che abbia un problema all’occhio.

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Per la parte di Scraps, Chaplin, dopo aver assistito a “provini” di diversi cani di razza (uno dei quali della stessa Edna), scelse infine un cane preso da un canile, in quanto era giunto alla conclusione che solo un cane di strada potesse essere credibile “nei panni” di un cane affamato e sveglio. E con una… vita da cani alle spalle. Degno partner (e alter ego) del Vagabondo.

Il film viene omaggiato in Cynara (Infedele, 1932), di King Vidor, nella scena in cui due dei personaggi protagonisti vanno al cinema a vederlo, ridendo a crepapelle assieme al resto del pubblico.

Vittorio Renzi  (29 dicembre 2015)

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A Dog’s Life (Vita da cani)

Usa, 1918

regia, sceneggiatura e montaggio: Charles Chaplin

fotografia: Roland Totheroh

musica: Charles Chaplin (1957)

scenografia: Charles D. Hall

costumi: Mother Vinot

produzione: Charles Chaplin, per First National Pictures

cast: Charles Chaplin (il vagabondo), Edna Purviance (la ragazza), Sydney Chaplin (il ristoratore ambulante), Henry Bergman (il disoccupato grasso), Charles Reisner (impiegato ufficio occupazione), Albert Austin (Ladro),
Tom Wilson (poliziotto)

lunghezza: 3 rulli, 2674 piedi

durata: 33′

data di uscita: 14 aprile 1918

A Dog_s Life poster


[1] Charles Chaplin, La mia autobiografia, Milano, Mondadori, 1964, p. 250.

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