Assunta Spina (1915)

Gustavo Serena e Francesca Bertini

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SINOSSI: La stiratrice Assunta Spina è fidanzata con Michele Boccadifuoco, macellaio di Napoli, ma è anche corteggiata da Raffaele, che Assunta però rifiuta. Per vendicarsi, Raffaele invia una lettera anonima a Michele dicendo che la sua fidanzata, quando lui lavora, si consola con qualcun altro. Michele decide di portare Assunta Spina a Napoli trovandole un lavoro in una lavanderia vicino alla sua macelleria. Il giorno del compleanno di Assunta Michele la porta a Posillipo ma non le presta molte attenzioni, finché non arriva anche Raffaele. Per ripicca, Assunta si mette a ballare con Raffaele e scoppia il dramma: Michele, accecato dall’ira, sfregia Assunta e viene arrestato. Durante il processo lei tenta di scagionarlo, ma la giuria non le crede. Michele viene così condannato a due anni in una prigione lontana. Assunta allora accetta d diventare l’amante del vice-cancelliere Federigo Funelli, per far sì che Michele rimanga nella prigione di Napoli. Dal carcere Michele continua a scriverle delle lettere, ma Assunta non gli risponde: non è più innamorata di lui. Dopo un anno e mezzo Michele viene messo in libertà…

Assunta Spina 2

“E chi poteva fermarla? La Bertini era così esaltata dal fatto di interpretare la parte di Assunta Spina, che era diventata un vulcano di idee, di iniziative, di suggerimenti. In perfetto dialetto napoletano, organizzava, comandava, spostava le comparse, il punto di vista, l’angolazione della macchina da presa; e se non era convinta di una certa scena, pretendeva di rifarla secondo le sue vedute.”
(Gustavo Serena)[1]

Napoli e la Bertini sono le due anime del film. Napoli e i suoi luoghi, reali, ma anche la sua gente: le comparse sono tutte prese dalla strada, come accadrà trent’anni dopo col Neorealismo, di cui questo film si può considerare un precursore. Un film che coraggiosamente tentò una via alternativa al cinema letterario e dannunziano degli anni Dieci, inseguendo un realismo di matrice verista e partenopea. Ma non era stato l’unico. L’anno prima era uscito un film che era passato praticamente inosservato: si trattava di Sperduti nel buio (1914), di Nino Martoglio, siciliano, attivissimo nel teatro (soprattutto quello dialettale siciliano) e interessato anche al cinema nel quale indicò una possibile terza via, rispetto a quella dei kolossal storici ed epici o dei melodrammi Liberty abitati da dive dannunziane. Era la via del realismo, del verismo, dell’osservazione e dell’esplorazione della realtà. Sperduti nel buio faceva parte di una trilogia prodotta dalla Morgana film. Ma tutti e tre i film, insieme agli altri (pochi, in verità) facenti parte di questa corrente realistica del muto italiano, sono andati perduti. Il solo superstite è Assunta Spina, la cui importanza, per questo motivo, è ancora maggiore.

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In una delle prime scene del film, una bellissima ripresa sul Golfo di Napoli illustra gli amoreggiamenti di Assunta e Michele su una barca al tramonto, in controluce. La ripresa è stata effettuata da una barca vicina ed è quindi languidamente ondeggiante. Il montaggio è ancora e soltanto funzionale ai cambi di scena, la messinscena si concentra sulle scenografie, sui costumi e le scene sono sempre affollate e piene di movimento, di micro-avvenimenti, onde illustrare la grande vitalità del popolo partenopeo. Ma poco importa perché, dal momento in cui l’attrice protagonista entra in scena, è lei a calamitare l’attenzione del nostro sguardo, fino alla fine.

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«Héroine d’émotion», eroina di emozione, la definì Louis Delluc[2]. Francesca Bertini (nata come Elena Seracini Vitiello, nel 1892) era toscana, ma aveva trascorso l’infanzia a Napoli e ne conosceva perfettamente il dialetto. Sin da giovanissima aveva calcato i palcoscenici dei teatri e nel 1909, ancora adolescente, si trovò a interpretare un ruolo secondario nel dramma omonimo. Già allora l’autore, Salvatore Di Giacomo, le predisse un grande futuro d’attrice. Appena sei anni dopo, quando approda sul set di Assunta Spina, è già un’attrice famosissima, sia di teatro che di cinema. E col suo timbro gutturale, in napoletano, dà ordini e dirige il cast e la troupe. Al punto che, di fatto, è lei l’unica vera regista del film, come ammesso dallo stesso Serena. Ma al di là delle pose divistiche nella vita e sul set (il termine «diva» fu coniato appositamente per lei), il risultato è strepitoso e, a maggior ragione, inaspettato: anziché le pose statuarie, le maschere tragiche, i cliché e l’enfasi, la sua recitazione punta su un realismo per l’epoca inedito, fatto di espressioni generalmente contenute e gestualità riprese dal quotidiano.

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Basti vedere, a titolo di esempio, la scena del ristorante a Posillipo, durante il compleanno di Assunta, e in particolar modo quella della profezia della zingara («Vedo del sangue nella tua vita»): sul momento Assunta, circondata da amici e parenti, sorride e la prende a ridere, ma non appena il nugolo di persone intorno a lei inizia a dissolversi ed ella rimane padrona della scena, con il corteggiatore Raffaele sullo sfondo, a rendere più palpabile l’oscura minaccia ventilata dalla zingara; l’attrice mostra l’inquietudine crescente del suo personaggio: si tocca lo scialle bianco – che indosserà per tutto il film – con lo sguardo fisso verso il basso, poi si volta dalla parte della zingara, appena uscita di scena e cammina fino ai margini dell’inquadratura, portandosi distrattamente una mano al collo – gesto che ripeterà più volte nel corso del film, ma sempre con modulazioni differenti – poi accenna un passo, si blocca, e di nuovo si muove, irrequieta, voltando la testa ora a destra ora a sinistra, lo sguardo agitato; infine, persa nei suoi angosciosi pensieri, allunga un braccio dietro di sé e afferra lo schienale di una sedia, la attira a sé e si siede e di nuovo si porta una mano al collo. Infine Raffaele, che per tutta la scena è rimasto osservarla appoggiato alla ringhiera che dà sul mare, si fa avanti e lei si volta verso di lui. Ma subito, come infastidita, distoglie lo sguardo, accavalla le gambe e la sua mano nervosa giocherella di nuovo con lo scialle.

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Ecco, bastano questi pochi movimenti, questi pochi sguardi per imporre un nuovo stile di recitazione fino ad allora sconosciuto alle platee cinematografiche. E difatti gli addetti ai lavori se ne accorsero subito e la Bertini, oramai innamorata del cinema, continuò a girare film fino agli anni ’20, per un totale di circa 100 titoli. Si accorse di lei anche Hollywood, che difatti la reclamò, proponendole un contratto di un milione di dollari. Ma la Diva, come raccontava orgogliosamente nelle interviste, si negò: nel 1921 sposò il conte e banchiere svizzero Paolo Cartier e lasciò per sempre il grande schermo. E non aveva che 29 anni.

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Il marchese napoletano Gustavo Serena, proveniente anch’egli dal teatro, aveva già diviso vari set con la Bertini e i due gireranno insieme ancora diversi film (21 in tutto), fra i quali La signora delle camelie (1915) e Fedora (1916) – con Serena come regista e interprete – e Il processo Clémenceau (1917) e Tosca (1918), diretti entrambi da Alfredo De Antoni. Ma nonostante fosse un attore famosissimo e molto amato, anche la sua carriera era destinata a concludersi agli albori del cinema sonoro; dopodiché Serena cambiò del tutto vita e aprì una latteria. Tornò al cinema solo sporadicamente, per qualche ruolo non accreditato come comparsa.

Il dramma di Di Giacomo ispirò successivamente altri due adattamenti cinematografici: una seconda versione muta del 1929, diretta da Roberto Roberti e interpretata da Rina De Liguoro; e, più famosa, quella sonora del 1948 ad opera di Mario Mattoli, con Anna Magnani e Eduardo De Filippo.

Vittorio Renzi  (21 febbraio 2015)


[1] Vittorio Martinelli, Il cinema muto italiano. I film della Grande Guerra. 1915, vol. I, Nuova ERI, Torino, 1992.
[2] Louis Delluc, Photogénie, 1920, in L. Delluc, Ecrits cinématographiques, vol. I, Paris, Cinémathèque Française, p. 52.

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Assunta Spina

Italia, 1915

regia: Gustavo Serena, Francesca Bertini

soggetto: dramma omonimo di Salvatore Di Giacomo

sceneggiatura: Gustavo Serena

fotografia: Alberto Carta

scenografia: Alfredo Manzi

produzione: Giuseppe Barattolo, per Caesar Film

cast: Francesca Bertini (Assunta Spina), Gustavo Serena (Michele Boccadifuoco), Carlo Benetti (Don Federigo Funelli), Luciano Albertini (Raffaele), Antonio Cruicchi (padre di Assunta), Amelia Cipriani (Peppina), Alberto Collo (ufficiale)

durata:  73′

data di uscita: 28 Ottobre 1915

Francesca Bertini

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