Shimizu Hiroshi
SINOSSI: Fujii Minoru, capitano del club di rugby dell’università, è un giovanotto insolente e dongiovanni, che ruba di nascosto i soldi al padre, fabbricante di soia, per andare a donne e bere con gli amici. Un giorno Minoru si fa accompagnare a una partita da un’apprendista geisha, Hoshichiyo e, in seguito a questo fatto, viene cacciato dalla squadra. Il “giovane maestro” (il wakadanna del titolo originale) inizia così a saltare i corsi per dedicarsi unicamente alla sua vita dissoluta. Intanto, delle sue due sorelle, una è in procinto di sposarsi, mentre Miyako, la più giovane, è promessa a un impiegato del padre, che però ha una storia con Hoshichiyo. Intanto Minoru s’innamora della ballerina Takiko, che è la sorella di Kitamura, un suo compagno di squadra. Nel frattempo, la squadra deve affrontare una partita importante e decide di riaccoglierlo tra le sue fila. Ma, al tempo stesso, Kitamura intima Takiko di lasciare in pace Minoru e di non distrarlo. La ragazza obbedisce e decide di partire per l’America.
Si tratta di un film per certi versi autobiografico. Anche Shimizu Hiroshi era figlio di un commerciante e anche lui non ha mai finito il college, oltre al fatto che, pare, fosse un seduttore al pari del suo personaggio (una delle sue mogli fu la grande attrice Tanaka Kinuyo, che interpretò diversi film del regista). Ma Shimizu era noto anche per il suo grande amore per i bambini, dentro e fuori dal set: al termine della Seconda Guerra mondiale, fondò una casa per orfani di guerra e due dei suoi film più conosciuti della fine degli anni ‘30 riportano la parola “kodomo” (bambino) fin dal titolo: Kaze no naka no kodomo (Children in the Wind, 1937) e Kodomo no shiki (Four Seasons of Children, 1939).
Nel 1924, Shimizu, in giovane età (aveva 21 anni), entra alla Shochiku, una delle maggiori case di produzione giapponese, per non abbandonarla più e realizzare oltre 160 film (di cui rimangono oggi meno di un terzo). Ma, al contrario del quasi coetaneo Ozu Yasujiro, di Shimizu in Occidente si è visto davvero poco. Tuttavia, nonostante uno sia quasi del tutto sconosciuto al nostro pubblico, mentre l’altro sia uno dei registi più osannati dalla critica cinematografica mondiale, i percorsi di Shimizu e di Ozu proseguirono parallelamente: quando il primo era assistente regista, il secondo era assistente cameraman. Tra i due c’era un legame di amicizia e un identico apprezzamento per le tradizioni del Giappone. Due dei film di Ozu, Rakudai wa shitakeredo (Sono nato, ma…, 1929) e Hogaraka ni ayume (Passeggiate allegramente, 1930) furono scritti proprio da Shimizu e sono riconoscibili per il tocco leggero tipico dei suoi film degli anni ’30.
Daigaku no wakadanna fa parte di un ciclo di cinque film dedicato ai giovani universitari, tutti interpretati dalla giovane star Mitsugu Fujii. Ma gli altri quattro sono andati perduti, insieme alla maggior parte dei film muti di Shimizu. Si può inoltre ascrivere nello shomin-geki, il genere di ambientazione contemporanea che mira a ritrarre realisticamente la vita quotidiana della classe lavoratrice. La vicenda appare scanzonata nella prima parte, coronata da diverse gag (fra cui quelle in cui Minoru ruba con grande perizia i soldi da una scatola facendo calare dal piano di sopra una corda con su attaccato uno scarafaggio), mentre si fa via via più seria nella seconda parte (il pestaggio di Minoru ad opera della sua squadra, Kitamura che urla contro sua sorella e la picchia ripetutamente) e quasi struggente nel finale: emozionante la scena in cui Fujii piange sotto la doccia, dopo la partita, leggendo e rileggendo la lettera d’addio di Takiko. Lo stesso stile di vita di Fujii, naturalmente egoista e spudorato, ci appare però anche sotto un’altra angolazione: una reazione ai rigidi codici di comportamento che ancora vigono nella sua stessa casa, in cui il padre sembra aver già deciso il suo futuro dei figli. Non solo il classico binomio dai poli opposti, piacere/dovere, dunque, ma anche il contrasto fra le aspettative rigide di una società fortemente codificata e l’aspirazione alla realizzazione individuale, alla libertà nelle proprie scelte, che guarda probabilmente allo stile di vita dell’Occidente.
E dei segni dell’occidentalizzazione il film è disseminato. Quando accompagna Minoru alla partita, Hoshichiyo è vestita all’occidentale, con una camicetta alla marinara e cappellino, gonna e scarpe con tacco. Scarpe con le quali non sa camminare ed è proprio Minoru a spiegarle come deve fare. Si tratta, in realtà, dei vestiti di Miyako che, a differenza della sorella maggiore, vediamo vestita all’occidentale per tutto il film. Così come Takiko, sua coetanea. Inoltre, sulla parete dell’appartamento di Takiko campeggia la locandina (francese) di All Quiet on the Western Front (All’ovest niente di nuovo, 1930), di Lewis Milestone. Più avanti, assistiamo a un numero di varietà in stile Broadway, con tanto di ballerine con costumi improbabili e scenografie kitsch. Molte sono le scene in esterni, ambientazione che Shimizu, a differenza di Ozu, prediligeva. Molto belle le immagini, in particolare, della passeggiata al porto di Miyako e Hoshichiyo, rivali in amore per il giovane impiegato di casa Fujii.
All’epoca di Daigaku no wakadanna, e in soli 9 anni, il regista di Shizuoka aveva già realizzato circa novanta film muti. Si tratta, in questo caso, di un film già formalmente sonoro (il suo primo), dal momento che sono già presenti su pellicola, al momento dell’uscita in sala, sia la musica che gli effetti sonori. Mancano solo i dialoghi, ancora sostituiti da didascalie e, di conseguenza, gli eventi vengono recitati in sala dal tradizionale narratore, il benshi. Dopo questo film, il regista tornò in tutta fretta a realizzare film muti finché poté, poi dovette cedere al sonoro come tutti i suoi colleghi (compreso l’altrettanto restio Ozu). Eppure, questo sembra già, per molti aspetti, un film sonoro: per la costruzione della sceneggiatura, che prevede una gran quantità di informazioni e moltissimi dialoghi; per la recitazione naturale degli attori, che iniziano a pronunciare già molte delle loro battute (anche se noi non le sentiamo) e ad affidarsi ad esse, più che all’espressività e alla gestualità accentuate tipiche del cinema muto. Soprattutto in alcuni momenti, poi, le didascalie si fanno addirittura invadenti, andando a segmentare intere sequenze concepite visivamente in modo continuativo, come nel caso della carrellata che segue il “giovane maestro” e l’impiegato del padre lungo un ampio viale dove sorge un tempio. Personalmente ritengo che Daigaku no wakadanna, con i dialoghi incisi, anziché con centinaia di didascalie a interrompere le immagini, sarebbe stato un film migliore.
Vittorio Renzi (19 novembre 2015)
Daigaku no wakadanna | 大学の若旦那
(The Boss’s Son at College)
[t.l.: Il figlio del capo al college]
Giappone, 1933
regia e sceneggiatura: Shimizu Hiroshi
fotografia: Aoki Isamu, Sasaki Tarô
scenografia: Wakita Yonekazu
costumi: Shibata Tetsuzô
produzione: Shochiku Kamata, per Shochiku.
cast: Fujii Mitsugu (Fujii Minoru), Takeda Harurô (il padre, Gohei), Mizukubo Sumiko (Miyako), Tsubouchi Yoshiko (Namiko), Saitô Tatsuo (Wakahara, suo marito), Aizome Yumeko (Takiko), Mitsui Hideo [Mitsui Kôji] (Kitamura), Sakamoto Takeshi (zio Muraki), Tokudaiji Shin (capufficio Chûichi), Mitsukawa Kyôko (Hantama Hoshichiyo), Wakamizu Kinuko (geisha Ofune), Kenji Ôyama (Horibe), Himori Shin’ichi (Mikaye), Yamaguchi Isamu (Ôkawara), Yoshikawa Mitsuko (proprietaria del ristorante)
durata: 87’
data di uscita: 1 novembre 1933