Die Büchse der Pandora (Lulù – Il vaso di Pandora, 1929)

Georg W. Pabst

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SINOSSI: Lulù sogna di fare carriera nel mondo del varietà e ha diversi amanti, fra cui il dottor Ludwig Schön. Tuttavia l’uomo decide di lasciarla per sposare una donna rispettabile, Charlotte Marie Adelaide. Il figlio di Schön, Alwa, innamorato di Lulù, la scrittura per un suo spettacolo, ma durante la prima, dietro le quinte, il dottor Schön viene sorpreso dalla fidanzata tra le braccia di Lulù. Di conseguenza Schön si rassegna a sposare quest’ultima. Durante la festa di matrimonio, tuttavia, Schön, entrando nella camera nuziale, trova Lulù assieme ad un vecchio amico, Schigolch, che la ragazza ha sempre spacciato per suo padre. In un impeto di gelosia, Schön afferra la pistola e, nella disputa che ne segue, rimane ucciso. Al processo Lulù è ritenuta colpevole, ma Alwa in combutta con la contessa Anna Geschwitz, anche lei attratta da Lulù, riesce a creare un diversivo e i tre fuggono insieme a Schilgoch. In treno vengono però riconosciuti e ricattati dal marchese Casti-Piani, che li conduce in una bisca clandestina in Francia, tenendoli lì sotto la minaccia di consegnarli alla polizia. In realtà, il losco marchese ha intenzione di vendere Lulù a un mercante turco, così Alwa, Schilgoch e Lulù fuggono nuovamente. I tre finiscono a Londra, ormai ridotti in miseria. Lulù decide allora di prostituirsi, ma una notte, passeggiando per le strade di Londra, si imbatte in Jack lo squartatore, che metterà fine alla sua vita.

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Dopo che tutti i personaggi principali ci sono stati presentati nei primi due atti del film, assistiamo alla celebre sequenza del ballo di varietà, o meglio, a cosa accade dietro le quinte. Lo spettacolo è già in scena, ma il numero clou tarda a venire perché la star, Lulù, fa i capricci e non vuole più andare sul palcoscenico. Il motivo è la presenza di Charlotte Marie Adelaide, la futura imminente sposa del suo ex amante, Schön. La scena è affollatissima: da una parte, Schön è insieme alla sua devota e ingenua Charlotte; dall’altra, Lulù è circondata dagli altri attori, saltimbanchi e maestranze del teatro che tentano di convincerla a calcare la scena. Le due scene convivono in due campi opposti e isolati dal montaggio. Ad un certo punto, gli sguardi di Lulù e di Schön si cercano e si trovano. Il motivo è che Georg W. Pabst sceglie di (non) incrociarli attraverso un raccordo “sbagliato”.

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Siamo nel 1929, e lo spettatore cinematografico è stato ormai educato alla grammatica di base del film, e sa che, quando a un primo piano di un attore che guarda fuori campo leggermente verso sinistra segue lo sguardo in primo piano dell’altro attore che guarda verso destra, ciò significa contatto visivo tra i due, incrocio di sguardi. In questo caso, invece, i due guardano fuori campo nella stessa direzione. L’intensità e la mutevolezza dei loro volti, che si fanno sempre più carichi di emozione, risentimento, passione, non lascia dubbi su chi siano i destinatari dei reciproci sguardi. E’ come se questi sguardi si cercassero ma non s’incrociassero mai, come le due famose rette parallele che sfrecciano nella stessa direzione, senza mai incontrarsi. E’ come se non guardassero l’uno il volto dell’altro, ma ciascuno il proprio destino. La direzione è dunque la medesima, ed è quella della distruzione di entrambi, che avverrà in modi simili ma diversi. Schön è un uomo pratico, di mondo, che aveva intrattenuto una relazione con una donna che sapeva di non poter mai presentare in società e dunque non ha esitato a spezzare quel legame e si prepara a sposare una donna senz’altro bella, ma soprattutto casta e devota. Un uomo razionale, logico, calcolatore. Tanto più costui è destinato a smarrirsi nella sua passione, a cedere di fronte all’incommensurabile, all’incontenibile, all’incontrollabile: tutte qualità che ben si attestano a Lulù, immagine primigenia del femminino, davanti alla quale, la bellezza incontestabile, ma assolutamente prevedibile, controllabile, di Charlotte svapora.

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Lulù è definita in primo luogo dall’illuminazione. Un volto carico di luce, quello di una bambina gioiosa, capricciosa, giocosa, sensuale. Ambigua nella sua innocenza, come lo è un bambino che inizia ad esercitare il potere che scopre di avere sugli altri (e dunque è un’innocenza già in bilico, perché “tentata” dalla consapevolezza). Luce che a volte, sul suo volto si divide, o meglio divide espressionisticamente il suo volto in zone di luce e d’ombra, come a riflettere il desiderio tormentato di chi la guarda, uomini e donne – dal momento che il fascino di Lulù si esercita anche sulla contessa Anna Geschwitz, ovvero il primo personaggio dichiaratamente lesbico del grande schermo. La luce dunque, come solo un regista tedesco degli anni Venti sapeva manovrare. Ma la peculiarità che ha reso eterno e paradigmatico questo personaggio nonché l’attrice che lo interpretò, risiede anche nel rifiuto di Pabst di definirlo socialmente o moral(istica)mente in alcun modo. Al contrario, egli lascia Lulù prendere vita così come è, coerentemente con la sua natura. Scartando la ventisettenne Marlene Dietrich e scegliendo una ventitreenne e sconosciuta attrice del Kansas, Pabst si dedica a riprendere e illuminare quel volto magnetico e seducente, quel corpo androgino, trasponendo sullo schermo un’idea di donna esclusivamente cinematografica, e dunque svincolata dai due testi teatrali di partenza di Frank Wedekind: una variazione ancor più pregnante e significativa, rispetto alle pur sostanziose variazioni della sceneggiatura rispetto a tali testi.

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Ma torniamo al raccordo sbagliato e ai due destini: Schön, di lì a poco, cadrà sotto i colpi della sua stessa passione, passione che un uomo come lui non è in grado non solo di controllare, ma di sopportare (troppo conformistico il suo approccio alla vita e alla società, troppo scarsa la sua immaginazione, troppo inscatolati i suoi sentimenti). Lulù, invece, gioca con tutto e con tutti, scommette su tutto, percorre fino in fondo la strada del desiderio, di cui è l’incarnazione per eccellenza: mutevole, capricciosa, curiosa, irresistibile, così come incapace di resistere. E’ il desiderio che spinge Pandora ad aprire il vaso perfidamente fattole consegnare da Zeus con l’ordine di tenerlo sempre chiuso. Lulù è dunque, anche in questo senso, fatale, e fatale è il suo destino. L’uomo che porrà fine alla sua esistenza è Jack lo Squartatore, un essere d’ombra (opposto dunque al vitalismo luministico di Lulù): sempre avvolto nel suo cappotto, il volto semicelato dal cappello, abitante della nebbia londinese. Jack appare dapprima tentato da lei (vedere in proposito la splendida sequenza sulle scale, con Lulù posta sui gradini più in alto, e l’assassino in basso, quasi accecato da quella bellezza, da quella luce…), tentato dunque dalla vita, dall’amore, ma poi ancor più dal suo istinto altrettanto primigenio di distruzione: nel momento stesso in cui i suoi occhi si posano sulla lama di un coltello, il destino di Lulù si compie. Si compie di spalle, appena un sussulto, uno scivolare fuori campo. Nessuna tragedia, o meglio, nessuna posa tragica. E’ anche grazie a una scelta di regia come questa se il cinema si svincola potentemente e definitivamente dal teatro.

Nel 1917 una prima versione di Lulù era approdata sul grande schermo, per mano del regista tedesco Alexander Antalffy. Nel 1928 il compositore austriaco Alban Berg iniziò a comporre i primi due atti di un’opera originata proprio dalla fusione degli stessi due testi di Wedekind utilizzati di lì a poco da Pabst. L’opera, rimasta incompiuta, fu presentata postuma quasi un decennio dopo.

Vittorio Renzi (1 maggio 2015)

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Die Büchse der Pandora
(Lulù – Il vaso di Pandora)

[Pandora’s Box]

Germania, 1929

regia: Georg Wilhelm Pabst

soggetto: drammi Die Büchse der PandoraErdgeist di Frank Wedekind

sceneggiatura: Ladislaus Vajda

fotografia: Günther Krampf

montaggio: Joseph R. Fliesler

scenografia: Andrei Andrejev, Gottlieb Hesch [e Ernö Metzner]

costumi: Gottlieb Hesch

produzione: Seymour Nebenzahl, per Nero-Film Aktiengesellschaft

cast: Louise Brooks (Lulù), Fritz Körtner (dott. Ludwig Schön), Franz Lederer (Alwa Schön), Carl Goetz (Schigolch), Krafft-Raschig (Rodrigo Quast), Alice Roberts (contessa Anna Geschwitz), Daisy D’Ora (Charlotte Marie Adelaide von Zarnikow), Michael von Newlinsky (marchese Casti-Piani), Gustav Diessl (Jack lo squartatore), Sig Arno (direttore di scena)

lunghezza: 8 rulli, 3524 metri

durata:  133’

première: Berlino, 30 gennaio 1929

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