Easy Virtue (Fragile virtù, 1927)

Alfred Hitchcock

Easy Virtue 1

SINOSSI: Il vizio dell’alcool del marito spinge Larita Filton a finire tra le braccia dell’artista che sta realizzando il suo ritratto. Scoperta dal marito e caduta in disgrazia in seguito a un divorzio che attira la morbosa attenzione dell’opinione pubblica, Larita decide di fuggire nel sud della Francia per cominciare una nuova vita. Qui, conosce John Whittaker, un onesto giovane inglese che decide di sposare. Rientrati a Londra, Larita e John si ritroveranno contro la madre di lui, che desiderava che il figlio sposasse la dolce Sarah. Finché il passato di Larita non viene a galla.

Il gusto tipicamente hitchcockiano per il gioco, per il bizzarro e per l’astratto si rivela qui sin dalla prima inquadratura: quella di un oggetto bianco, lanoso, di forma semicircolare che spicca su uno sfondo nero. Subito l’“oggetto” inizia a ruotare all’insù e si rivela essere la testa imparruccata di un giudice. Dopo averci mostrato un’aula gremita di gente, il regista torna sul giudice, mentre solleva il suo monocolo. Attraverso una soggettiva del suo sguardo nel monocolo (trucco ripreso dal suo primo film, The Pleasure Garden (Il labirinto delle passioni, 1925), individuiamo il pubblico ministero, anch’esso imparruccato, che sta parlando. E subito dopo, la ripresa sfocata di una donna al banco dei testimoni ci rivela la miopia del giudice, che di nuovo alza il monocolo per mettere a fuoco la protagonista femminile del film, Larita Filton. Mentre la donna risponde alle domande del pubblico ministero, il giudice sbadiglia di noia. Il primo piano di un decanter, presentato dal procuratore come prova, diviene l’oggetto che innesca il flashback di tutta la vicenda: il decanter ora è nelle mani di un altro uomo, in un altro luogo e tempo rispetto al tribunale. La cinepresa indietreggia lentamente fornendoci man mano più informazioni. Mentre un uomo si versa da bere, a sinistra compare una donna, la stessa Filton, in abito da sera, seduta immobile. Mentre ci chiediamo la ragione di questa innaturale immobilità, la cinepresa, ancora indietreggiando lascia entrare in campo un secondo uomo, un pittore, che sta ritraendo la donna. Ed ecco dunque la ragione della sua immobilità. Seguono poi una serie di primi piani sui tre personaggi. L’ultimo di questi, sul marito di Larita, ci riporta in tribunale.

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Easy Virtue è il sesto dei dieci film muti di Hitchcock (undici, contando il primo, Number Thirteen, che però non fu mai portato a termine) e l’ultimo girato per la casa di produzione Gainsborough. Fu accolto freddamente dalla critica e al botteghino fu un mezzo fiasco. Basato sul testo teatrale di Noel Coward, il film vede protagonista Isabel Jeans, che aveva già interpretato il precedente Downhill (Il declino, 1927), insieme a Robert Irvine, e che tornerà poi in un ruolo secondario in Suspicion (Il sospetto, 1941). In merito a Easy Virtue Hitchcock dichiarò a Truffaut (che non lo aveva ancora visto): «E’ il più brutto soggetto che abbia mai scritto, a tal punto che ho perfino vergogna a raccontarlo»[1].

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Un soggetto che lo interessa poco che Hitchcock, non appena può, lo esorcizza col suo caratteristico umorismo. Un esempio: i due giovani si baciano in una carrozza nei pressi di una veduta panoramica? Un tale romanticismo richiede subito un contrappeso: ecco dunque che anche i due cavalli della carrozza si mettono naso contro naso fra loro. Una telefonata piena di frasi smielate è troppo noiosa da mostrare? Ecco dunque che Hitchcock sceglie di rendere conto di quell’idillio senza mai inquadrare i due amanti con la cornetta alzata, e di riferirci invece la loro conversazione tramite le orecchie curiose della centralinista in un long take durante il quale assistiamo al climax della conversazione, aiutati non solo dalle didascalie, ma dalle diverse espressioni della centralinista che si immedesima nella conversazione, come fosse uno sguardo/orecchio sostitutivo – e rappresentativo – di quello dello spettatore.

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Hitchcock indulge in almeno due primi piani con sguardo in macchina, onde evidenziare un particolare stato d’animo della protagonista, una donna che suscita l’ammirazione degli uomini e la gelosia o il sospetto nelle donne. In particolare, quando essa si sente disapprovata, o teme d’essere riconosciuta e giudicata. Insomma il tipico stato d’animo alterato della paranoia, così ricorrente nel cinema del maestro inglese. La madre del fidanzato è presentata come uno spietato villain: verrebbe da pensare che, se potesse, Hitchcock le metterebbe in mano un’arma e le farebbe commettere senz’altro un omicidio. Gli occhi sempre sbarrati, e sopracciglia inarcate, lo sguardo crudele…
Non c’è molto altro di interessante in questo melodramma, le cui scene in esterni furono girate in parte in Costa Azzurra e sulle Alpi Marittime.

Vittorio Renzi (9 dicembre 2015)

Easy Virtue 3

Easy Virtue (Fragile virtù)

[a.k.a. Virtù facile]

Gb, 1927

regia: Alfred Hitchcock

soggetto: lavoro teatrale di Noel Coward

sceneggiatura: Elliot Stannard

fotografia: Claude McDonnell

montaggio: Ivor Montagu

scenografia: Clifford Pember

produzione: Michael Balcon, per Gainsborough

cast: Isabel Jeans (Larita Filton), Franklin Dyall (Aubrey Filton), Eric Bransby Williams (Claude Robson), Ian Hunter (Mr. Greene), Robin Irvine (John Whittaker), Violet Farebrother (Mrs. Whittaker), Frank Elliott (col. Whittaker), Dacia Deane (Marion Whittaker), Dorothy Boyd (Hilda Whittaker),
Enid Stamp-Taylor (Sarah)

lunghezza: 7 rulli, 7392 piedi

durata:  80’/89’

data di uscita: agosto 1927

Easy Virtue poster


[1] François Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, Pratiche, 1977 [1966], p. 45.

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