Mizoguchi Kenji
SINOSSI: Durante un temporale, in una stazione, il medico Hata Sokichi incontra una donna visibilmente fuori di sé, che egli aveva conosciuto molti anni prima. Parte il flashback: Osen lavora come serva per Kumazawa, un venditore di oggetti di antiquariato senza scrupoli, che un giorno assume il giovane squattrinato Hata. Kumazawa li maltratta entrambi, e nel frattempo tenta di truffare alcuni monaci buddisti rivendendo loro delle statue di Buddha che aveva fatto precedentemente sottrarre al loro stesso tempio. Quando Kumazawa viene scoperto e arrestato, Osen decide di aiutare Sokichi a coronare il suo sogno di frequentare una scuola di medicina. Ma l’unico modo in cui Osen riesce a trovare abbastanza denaro a questo scopo, è quello di prostituirsi durante il giorno, senza che Sokichi lo sappia. Finché un giorno la polizia non la arresta…
Negli anni ’20, proprio quando Mizoguchi iniziò a fare cinema, si stavano affermando a teatro opere tratte da melodrammi derivati dalla letteratura, incentrati su figure femminili (sorelle, giovani mogli, geishe) che cercano con ogni mezzo di proteggere uomini buoni, ma deboli e sprovveduti, spesso fratelli oppure giovani studenti senza uno yen in tasca. Fino ad arrivare a vendere se stesse di nascosto, pur di aiutarli economicamente. Questa figura femminile di donna che, in nome dell’amore, giunge a contrapporsi ad ogni buona norma di comportamento, fino all’estremo sacrificio di sé, influenzò tutta l’opera di Mizoguchi, a partire soprattutto dal film Taki no shiraito (White Threads of the Waterfall, 1933), interpretato sempre dall’attrice Yamada Isuzu, che ritroveremo in seguito in altri importanti film.
Lo stile registico di Mizoguchi appare già in buona parte formato, in Orizuru Osen. Gli stilemi ripresi dal cinema occidentale (dai movimenti di macchina ai vari tipi di montaggio), che rompevano con una prima fase di cinema giapponese pigramente ancorata alla messa in scena di stampo teatrale, con i piani fissi in campo medio, appaiono oramai in buona parte assimilati e personalizzati da Mizoguchi, che se ne serve con esiti non soltanto funzionali alla narrazione, ma anche fortemente espressivi. E anche meno “esibiti” rispetto ai film precedenti (tranne un paio di panoramiche a schiaffo forse un po’ superflue).
Ci sono, in questo bellissimo film, delle scene la cui intensità è sprigionata proprio dall’equilibrio che l’autore dimostra tra un sempre maggiore controllo formale e l’inventiva stilistica. Ad esempio quella in cui Osen viene picchiata e costretta ad accettare di ingannare un monaco, in cui Mizoguchi si dimostra capace di sfruttare il fuoricampo per creare ancora più tensione; o nella scena dell’addio, quando Osen viene portata via dalla polizia e, prima di varcare la soglia, soffia verso il suo protetto un origami in forma di cicogna. E lo struggente finale del delirio della donna, ormai priva di senno, la cui mente si è rifugiata in quel breve periodo in cui, nel darsi totalmente, prendendosi cura di Sokichi, aveva finalmente conosciuto la felicità.
Nonostante il suo primo film sonoro risalga al 1930, Mizoguchi girò negli anni seguenti ancora diversi film muti, compreso questo. Il motivo lo spiega bene Dario Tomasi nel suo volume dedicato al maestro giapponese:
Il passaggio al sonoro del cinema giapponese fu in realtà piuttosto lento, sia a causa dell’opposizione dei benshi [I benshi erano coloro che, durante la proiezione di un film muto, narravano la storia mostrata, dando voce ai personaggi e commentando ciò che accadeva. Spesso erano più famosi delle star dello schermo, NdR], sia per gli altri diritti richiesti dalle compagnie straniere per l’uso delle attrezzature necessarie alla riproduzione sonora, in un momento peraltro segnato dalla grande crisi del ‘29. Solo a partire dal 1931 (…) il cinema giapponese si mise risolutamente sulla strada del sonoro, anche se il totale abbandono del muto, da parte delle grandi compagnie, avvenne solo nel 1935.[1]
Vittorio Renzi (14 gennaio 2015)
[1] Dario Tomasi, Kenji Mizoguchi, Milano, Il Castoro, 1998, P. 26
Orizuru Osen | 折鶴お千 (The Downfall of Osen)
[t.l.: Osen delle cicogne di carta]
Giappone, 1935
regia: Mizoguchi Kenji
soggetto: racconto Baishoku Kamo Nanban di Izumi Kyoka
sceneggiatura: Takashima Tatsunosuke
fotografia: Miki Minoru
scenografia: Oguri Yoshiji
costumi: Ogasa Sajiro
produzione: Nagata Masaichi, per Daiichi Eiga
cast: Yamada Isuzu (Osen), Natsukawa Daijirô (Hata Sokichi), Ramon Mitsusaburô (Ukiki), Shibata Shin (Kumazawa), Fuji Genichi (Matsuda), Tojo Mitsuru (Amadani), Kitamura Jun’ichi (Sakazuki no Heishiro), Takizawa Shizuko (Osode), Itô Sue (nonna di Sokichi)
durata: 87’
data di uscita: 20 gennaio 1935