Teuvo Puro e Jussi Snellman
Anna-Liisa è una rappresentazione della vita delle persone, in cui l’ambiente etnograficamente corretto e la coerenza drammatica sono fusi insieme con grande cura. Questo film può essere offerto al pubblico straniero senza esitazione, dicendo: date un’occhiata; ecco un pezzo della nostra patria, uno scorcio della vita come è vissuta nelle nostre campagne.[1]
SINOSSI: Finlandia, fine del XIX secolo: la diciannovenne Anna-Liisa, figlia del contadino possidente Kortesuon, sta per sposarsi con Johannes Kivimaa. Pochi giorni prima delle nozze, riceve la visita di Husso, madre di Mikko, il quale un tempo lavorava nella fattoria dei Kortesuon e aveva sedotto e poi abbandonato Anna-Liisa. La donna le dice che Mikko ora si è arricchito, possiede una ditta di legname e vuole sposarla. Quando la ragazza rifiuta, Husso le ricorda che quattro anni prima lei l’aveva aiutata a nascondere il corpo del bimbo illegittimo nato dalla sua relazione con Mikko e che la donna, presa dal panico, aveva ucciso. Più tardi anche Mikko si reca da Anna-Liisa e la minaccia di rivelare il suo segreto se rifiuta di sposarlo. Johannes interviene per difenderla e i due si azzuffano. L’arrivo dei genitori di Anna-Liisa mette fine alla zuffa, ma Husso rivela ai genitori quello che è successo quattro anni fa. Anna-Liisa confessa tutto, scioccando genitori e fidanzato. Il giorno seguente, la ragazza tenta di annegarsi invocando il nome del bambino morto, ma viene salvata da Johannes. Dopo aver pregato, Anna-Liisa perdona Mikko e accetta di sposarlo. Ma il giorno del matrimonio, in chiesa, appare vestita di nero e confessa davanti a tutti la sua colpa. Dopo essersi congedata dalla sua famiglia e da Johannes, viene portata via dalla polizia.
Il film è tratto dall’omonimo e ultimo dramma della scrittrice realista e proto-femminista Minna Canth (1844-1897), influenzato dal dramma di Tolstoj, La potenza delle tenebre (Vlast’ t’my, 1886). L’opera teatrale conobbe un enorme successo all’epoca della sua uscita (1895) e fu trasposta sullo schermo nel 1911 da uno dei primi produttori e registi finlandesi, Teppo Raikas (1883-1916), morto poco più che trentenne. Questo cortometraggio vedeva Teuvo Puro nei panni del taglialegna Mikko. Se non che, a causa di difficoltà economiche, Raikas dovette rimandare di parecchi mesi lo sviluppo del negativo: la conseguenza disastrosa fu che la pellicola di Anna-Liisa, insieme con quella di un altro film girato quello stesso anno, si deteriorò al punto da non poter essere salvata, e dunque non fu mai proiettata al pubblico. Nei decenni successivi, il dramma di Minna Canth sarà la fonte di altri due film finlandesi, uno nel 1945 e l’altro, televisivo, nel 1988.
Attore, produttore e regista, Teuvo Puro (1884-1956) è uno dei pionieri del cinema finlandese. Assieme allo svedese Louis Sparre (1863-1964) aveva girato la prima pellicola finlandese di finzione: Salaviinanpolttajat (The Moonshiners, 1907, considerato perduto). Entrambi provenivano dal Suomen Kansallisteatteri, il Teatro Nazionale Finlandese fondato a Helsinki nel 1872, così come alcuni attori di Anna-Liisa. Nel 1919, Puro contribuì alla fondazione della Suomen Filmikuvaamo, poi Suomi-Filmi Oy, che sarebbe divenuta la più grande e longeva casa di produzione nazionale, l’equivalente della Svensk Filmindustri in Svezia. Uno dei cofondatori era Erkki Karu (1887-1935), altro pioniere, sia regista che produttore, morto prematuramente di meningite. Fu proprio Erkki Karu a produrre Anna-Liisa, che Teuvo Puro diresse insieme a Jussi Snellman (1879-1969). Costui, oltre ad essere uno dei primi attori di teatro passati poi al cinema, era anche il presidente di un’associazione buddista, tramite la quale diffuse il Buddhismo in Finlandia. Nonostante il cinema in questa nazione sia arrivato molto presto e fossero stati prodotti già un cospicuo numero di titoli, di quei primi decenni ci rimane ben poco. Anna-Liisa è per l’appunto uno dei più vecchi film finlandesi sopravvissuti.
Il modello inseguito dai due registi è certamente quello svedese, il cui cinema all’epoca dominava (ancora per poco) il mercato europeo e riscuoteva riscosso un grande successo anche negli Stati Uniti. Il sogno del produttore, Erkki Karu, e di tutto lo staff artistico era ovviamente quello di eguagliarne il successo, ma in realtà soltanto pochi titoli finlandesi riuscirono a varcare i confini del paese. Il primo di questi fu proprio Anna-Liisa. Nel film di Puro e Snellman – come in molti altri film finlandesi – si ritrova più di un’eco di un film di Mauritz Stiller, Sången om den eldröda blomman (Song of the Scarlet Flower, 1919). Quest’opera, ancora lontana da quelle di maggiore impegno del grande regista (di origini finlandesi, peraltro) in Finlandia ebbe un notevole successo, al punto che:
il film di Stiller ha avuto per la storia del cinema finlandese la stessa importanza che Terje Vigen di Sjöström ha avuto per quella norvegese: entrambi hanno insegnato ai Paesi confinanti che la cultura nordica poteva essere la base su cui edificare una genuina arte cinematografica nazionale.[2]
Rispetto al cinema svedese di Sjöström e Stiller, Anna-Liisa si presenta ancora sotto una forma teatrale un po’ rigida. Ma in questo caso probabilmente è proprio la rassicurante convenzionalità del moralismo da melodramma che consente agli autori di trasporre al cinema un argomento quanto mai delicato e spinoso come quello dell’infanticidio. Certo è che la sintassi cinematografica, al pari di quella di altri film finlandesi, è ancora scarsamente articolata. I piani sono mediamente lunghi e fissi, rari i cambi di angolazione, ridotto il montaggio narrativo, e al brivido della fotogenia del primo piano, oramai largamente accettato pressoché ovunque, si preferisce ancora la cautela del mascherino. Tuttavia i pregi del film sono altrove. Se infatti il dramma di partenza si svolge prevalentemente all’interno della fattoria dei Kortesuon, sullo schermo le immagini si ravvivano grazie ai magnifici scenari del sud della Finlandia. Se questo film ancora oggi viene ricordato, seppur relegato ai margini della storia del cinema, è soprattutto grazie a quelle vedute suggestive che l’imbibizione cui fu sottoposta la pellicola esalta ancora di più. Oggi, in seguito al restauro digitale effettuato nel 2013 dal KAVI, l’Istituto nazionale dell’audiovisivo di Helsinki, possiamo ammirare la pellicola in tutto il suo originale splendore.
Un iris apre su una pittoresca immagine di una tipica casa in legno, circondata da un ampio prato e affiancata da alti alberi. Sullo sfondo s’intravedono le acque di un lago. All’interno, la giovane Anna-Liisa sta filando un tessuto, probabilmente per il suo abito di matrimonio. La ragazza è qui descritta come una diciannovenne (mentre nel dramma della Carth aveva invece quindici anni) ma ad interpretarla vi è un’attrice di quasi quarant’anni, Helmi Lindelöf, che tuttavia era ritenuta «una delle migliori artiste del Teatro Nazionale finlandese»[3]. A un certo punto Anna-Liisa si siede e una dissolvenza incrociata in asse ci conduce un po’ più vicini a lei. Il suo volto esprime la desolazione di un cuore pesante, che si accorda con l’opprimente austerità di quell’ambiente spoglio.
Di contro, il suo fidanzato, Johannes, avanza con passo svelto, emergendo da un paesaggio agreste allegro e armonioso, attraversando poi il recinto della casa e sorridendo alla vista di pecore e agnelli. Johannes ama Anna-Liisa senza ombre, e non vede l’ora di sposarla. Anche lei lo ama, ma sulla sua felicità pesa il carico oscuro dei ricordi: un primo flashback ci mostra, inquadrata dall’alto, la giovane sulla cima di una roccia, pronta a buttarsi nelle acque sottostante. Ma poi cade in ginocchio e, piangendo, prega con gli occhi disperati rivolti verso il cielo. Tornati al presente, vediamo ancora lacrime negli occhi di Anna-Liisa, che però non può risolversi a confessare al suo amato ciò che si porta in petto.
Seduta sui gradini all’esterno di un’altra casa, c’è la vecchia Husso, alle prese con il recupero della stoffa da un mucchio di cenci. Le sue mani rovistano, sfilacciano, come quelle di una delle Parche, o meglio, una delle Norne norrene. Il suo viso pare deformato in una sorta di sorriso instupidito dal sole e dalla miseria, ha l’espressione astuta e meschina, di chi si è dovuto occupare troppo di tirare a campare per potersi permettere il lusso di sviluppare dei sentimenti. Le importa solo del figlio, di cui non vede – o non le importa – la meschinità ancora maggiore della sua. E quel figlio ora sta tornando al villaggio natio, anticipato da una lettera che un bambino consegna a Husso.
Dopo una magnifica ripresa delle acque di quello che sembra un estuario, con i tronchi appena tagliati che vi galleggiano, viene introdotto, in campo lungo, il personaggio di Mikko. Il taglialegna Mikko, così virile, ma anche rozzo e prepotente, incarna una figura molto popolare e ricorrente nel cinema finlandese, che a poco a poco era divenuta talmente iconica da porsi come “l’equivalente del cowboy nel cinema americano”[4]. L’uomo cammina su una sorta di banchina galleggiante fatta con i tronchi, i “suoi” tronchi – è divenuto un ricco proprietario di un’industria di legname – e si siede sul letto pietroso del fiume a fumare. Ha gesti rapidi e bruschi, è soddisfatto di sé e incurante di tutto il resto: ad esempio, dei veri sentimenti di Anna-Liisa, che anni prima aveva abbandonato a se stessa.
E’ nel flashback generato dai suoi ricordi che prendiamo conoscenza della sua storia con Anna-Liisa. La sequenza si apre con un breve scorcio della sua dura vita di contadino nei campi dei Kortesuo, i genitori della ragazza. Poi l’incontro a un crocevia, con la ragazza felice che porta in braccio un agnellino, ovvio riferimento simbolico al suo essere pura e indifesa, ma anche al suo futuro sacrificio. Sfavillante in una magnifica tinta arancione, una breve scena descrive una pittoresca festa campestre sulla riva di un lago, in cui Mikko e Anna-Liisa si dilettano su un’altalena di legno a quattro bracci, assieme a due bambine: il paradiso perduto.
Il flashback che mostra la romantica gita in barca di Mikko e Anna-Liisa costituisce, visivamente, uno dei momenti più memorabili del film. Un paesaggio lacustre ci appare in tutto il suo splendore incontaminato, riprodotto da varie angolazioni e distanze: uno scorcio del lago ripreso dalla quinta di due fronde, con l’altra riva che s’intravede in controluce, nera; la barca, ripresa in campo lungo e dall’alto, con le due piccole figure dentro, percorre le acque placide e argentee del fiume, sovrastato da un cielo percorso da nuvole immense; poi due anatre galleggiano sull’acqua e, infine, la barca oramai vuota, dopo che i due sono scesi a riva, per andare ad amoreggiare sotto una betulla.
L’immagine che conclude il flashback, in cui Mirko prima bacia e poi fa adagiare sul suolo erboso Anna-Liisa, è piuttosto sensuale, almeno per gli standard di quegli anni, ma tutto sommato trattenuta, se paragonata a certe esplosioni di erotismo che dominavano dieci anni prima, il cinema danese.
I ricordi perseguitano Anna-Liisa, impedendole la serenità e il pensiero rivolto al futuro. La sua mente è rimasta bloccata al passato: non certo alla breve storia d’amore con Mikko (che oramai disprezza, e che per ben due volte si rifiuta di sposare), quanto al suo senso di colpa per l’omicidio del neonato. Il tragico episodio ci viene raccontato in un terzo flashback. Qui vediamo Anna-Liisa uscire di casa, di notte, e correre disperata nei boschi. Un cielo nuvoloso e tetro domina gli alberi che, scossi violentemente dal vento, sembrano restituire la stessa sofferenza che sconquassa il cuore della ragazza. Esausta, si trascina fino alla casa di Husso e bussa alla porta. Quando esce, la donna la trova sulla soglia, quasi priva di sensi. Anna-Liisa farfuglia frasi isteriche, la abbraccia, le dice che il bambino giace nel bosco, che lo ha ucciso e le chiede di aiutarla. Le due piangono l’una nelle braccia dell’altra.
La seconda metà del film, segnata dal ritorno di Mikko, è tutto un progressivo irrigidirsi sui canoni del melodramma, gravato da quel senso cupo e ineluttabile di predestinazione tipico delle piccole comunità luterane. Si assiste dunque al lento e doloroso processo di assunzione di Anna-Liisa della propria colpa. Più i suoi affetti la rinnegano (compreso il devoto Johannes), scioccati dalla terribile rivelazione, più ella si fa forza nella sua strada verso la redenzione. In questo sfiancante scontro di fedi, orgogli, torti ed espiazioni, giocato quasi tutto all’interno di casa Kortesuo, e in cui pesa non poco l’eccessiva teatralità di gran parte degli interpreti, gli unici momenti che riportano ossigeno a questo oppressivo dramma sono ancora una volta le fughe nel paesaggio.
Ecco dunque Johannes uscire da una casupola che funge da bagno termale con indosso solo un asciugamano, ed avanzare a petto nudo e a piedi scalzi nell’erba, mentre dietro di lui le case del villaggio e i boschi si perdono in lontananza; ed ecco la freschezza della sorellina della protagonista, Pirkko, innocente e apparentemente ignara delle bruttezze del mondo, perfettamente a proprio agio in quella natura fulgente, fra cavalli e agnelli, così come lo era sua sorella alla sua età.
Eppure una notte, proprio mentre in casa si sta discutendo del destino della sorella, la bambina ha un incubo. Una sovrimpressione ce la mostra addormentata nel suo letto, ma improvvisamente la sua immagine si sdoppia. Nel sogno, ella esce di casa, si dirige nei boschi, si ferma presso un cespuglio fiorito per intrecciare una corona di fiori e si avventura poi fino alle rive del lago. Qui trova Anna-Liisa in camicia da notte, adagiata per metà nell’acqua come l’Ofelia di Millais. La sorellina si china delicatamente su di lei, le cinge la fronte con la corona di fiori, la bacia e poi le gira intorno come per un rituale, dirigendosi quindi nella direzione da cui è arrivata. Una seconda sovrimpressione ce la fa vedere mentre rientra nel suo letto e nel suo stesso corpo dormiente.
Un’ultima breccia sul mondo esterno la si ha nella scena immediatamente successiva. Insonne, Anna-Liisa osserva l’alba nascere seduta in riva al lago. La madre va da lei per tentare di consolarla, ma invano. Gli occhi della ragazza, oramai senza più alcuna speranza, fissano opachi la superficie argentea del lago. All’improvviso si alza e prende ad avanzare nell’acqua, invocando il nome del bambino ucciso, le braccia protese, apparentemente priva di senno. Johannes, che l’ha vista da lontano, interviene correndo in acqua, la raggiunge e la porta in salvo. L’ultimo tentativo di fuga di Anna-Liisa era dunque verso la morte, sì, ma anche verso quella natura così magnifica ma anche così cieca verso le disgrazie umane.
L’afflato femminista dell’opera di Minna Canth, in assenza di dialoghi (le didascalie sono quasi esclusivamente descrittive) si riduce qui a questo: al rifiuto di Anna-Liisa di sposarsi con un uomo che non ama solo per nascondere la sua vergogna e farsi accettare dalla comunità. Ella preferisce invece affrontare in pieno il giudizio dell’uomo e di Dio e liberarsi la coscienza. Visto che non è riuscita a morire, almeno potrà vivere espiando, ma da donna libera. Libera anche dall’odio e dal giudizio, dal momento che perdona colui che l’ha prima ingravidata e poi abbandonata causando la tragedia. E che ovviamente non viene giudicato e tantomeno condannato da nessuno.
Vittorio Renzi
Anna-Liisa
Finlandia, 1922
regia: Teuvo Puro e Jussi Snellman
soggetto: omonimo dramma di Minna Canth (1895)
sceneggiatura: Jussi Snellman
fotografia: Kurt Jäger, A.J. Tenhovaara.
montaggio: Kurt Jäger e Teuvo Puro
scenografia: Carl Fager
produzione: Erkki Karu, per Suomi-Film
distribuzione: Suomen-Biografi
cast: Helmi Lindelöf (Anna-Liisa), Emil Autere (Johannes Kivimaan), Einar Rinne (Mikko), Mimmi Lähteenoja (Husso), Hemmo Kallio (sig. Kortesuon), Meri Roini (sig.ra Kortesuon), Greta Waahtera (Pirkko Kortesuon), Axel Ahlberg (decano), Tauno Ensio Järvinen (Matti)
lunghezza: 1582 m
durata: 69′ a 20 fps
data di uscita: 20 marzo 1922
[1] Recensione apparsa nel 1922 sulla rivista “Filmiaitta”, citata in Pietari Kääpä (editor), The Directory of World Cinema, vol. 13: Finland, Bristol-Chicago, Intellect, 2012, p. 75.
[2] Vincenzo Esposito, La luce e il silenzio. L’età d’oro del cinema svedese, Napoli, L’Ancora, 2001, p. 136.
[3] Ture Dahlin, Il cinema nordico, in P. Cherchi Usai (a cura di), Schiave bianche allo specchio. Le origini del cinema in Scandinavia (1896-1918), Pordenone, Studio Tesi, 1986, p. 533.
[4] Kääpä, op. cit., p. 18.