John Ford
SINOSSI: L’allevatore “Thunder” Flint fa recintare un ruscello che costituisce la riserva d’acqua del contadino vedovo “Sweetwater” Sims, per costringerlo ad andarsene. Quando uno dei figli di Sims, Ted, va a prendere l’acqua scavalcando il recinto, uno degli uomini di Flint lo uccide. Il pistolero Cheyenne Harry viene inviato sul posto per finire i Sims, ma quando vede la famiglia in lacrime riunita attorno alla tomba del ragazzo, si commuove e decide di lasciare quel lavoro. Immediatamente diventa egli stesso un bersaglio. Dopo aver ucciso in duello “Placer” Fremont, un killer inviato appositamente da Flint per ucciderlo, Harry si unisce ai Sims per sconfiggere il malvagio e prepotente allevatore e decide infine di rimanere lì con loro, conquistato dall’amore della figlia, Joan.
John è mezzo tiranno, mezzo rivoluzionario; mezzo santo, mezzo Satana; mezzo possibile, mezzo impossibile; mezzo genio, mezzo irlandese…
Frank Capra [1]
John Ford (1894-1973), tredicesimo di quattordici figli, nacque a Portland, Maine, da genitori immigrati irlandesi che lo battezzarono con il nome gaelico di Sean Aloysius O’Fearna (O’Fienne o O’Finney, nella trascrizione anglicizzata secondo la pronuncia americana). Il primo a cambiare nome in Ford fu suo fratello maggiore Francis, che fu anche il primo dei due ad aprirsi una strada nell’industria del cinema, dove lavorò nei panni di attore, sceneggiatore e regista. John lo raggiunse più tardi, ma senza molta convinzione. Quando nel 1917, poco più che ventenne, realizzò il suo primo lungometraggio per la Universal, John Ford (ancora accreditato come Jack, e così sarà fino al 1923), aveva già fatto la sua gavetta come tutto-fare, stunt-man, attore, aiuto-regista (del fratello Francis, di Allan Dwan e di altri) e infine sceneggiatore e regista di un pugno di cortometraggi, usciti tutti in quello stesso anno e tutti western: The Tornado e The Scrapper, dove interpretò lui stesso la parte del protagonista; e poi The Soul Herder e Cheyenne’s Pal, con Harry Carey.
Tre anni prima aveva fatto da comparsa, nei panni di un membro del Ku Klux Klan a cavallo, nel film che aveva cambiato definitivamente il cinema americano, The Birth of a Nation (Nascita di una nazione, 1914), a proposito del quale racconta: «Cavalcavo con una mano sola, e con l’altra mi tenevo su il cappuccio per poterci vedere, perché quel maledetto affare mi scivolava sempre sugli occhiali»[2]. Durante quella scena rimase ferito sbattendo contro un ramo e passò i giorni successivi a guardare Griffith dirigere, imparando tutto quello che c’era da imparare.
Straight Shooting è il primo lungometraggio (5 rulli) , nonché uno dei pochi film muti di Ford, prima degli anni Venti, a essere sopravvissuto: la maggior parte sono andati perduti in un incendio al deposito della Universal nel 1922. La copia, restaurata dall’American Film Institute nel 1971, proviene dal Czech (all’epoca Czechoslovak) Film Archive di Praga, dov’era stato ritrovato cinque anni prima. Andando avanti negli anni, il numero di film conservati o ritrovati si arricchisce, ma resta il fatto che, al momento, solo meno di un terzo sono reperibili, poco più di una ventina – compresi quelli incompleti – degli oltre sessanta film a lui accreditati come regista. Fortunatamente, molti di questi sono western, un genere all’epoca ritenuto di serie B e che proprio Ford, film dopo film, contribuì a rendere il genere per eccellenza del cinema americano. E grazie al quale, al tempo stesso, emerse come uno dei più grandi filmmaker di tutti i tempi.
All’epoca, diversi attori si erano imposti nei ruoli di pistoleri: “Broncho Billy” Anderson alla Essanay, Tom Mix e Buck Jones alla Fox, William S. Hart alla Triangle. Alla Universal c’erano Harry Carey e, di lì a poco, Hoot Gibson (che in questo film compare nel ruolo secondario di Danny). Quasi tutti erano divenuti famosi interpretando perlopiù ruoli di eroi puri, senza macchia, eccezion fatta per Hart, il più moderno fra loro. Ford e Carey, che girarono insieme oltre venti film (il sodalizio iniziò con i due cortometraggi che precedettero Straight Shooting), si divertirono invece a creare un personaggio più ambiguo, sulla falsariga dei good bad men di Hart, rendendolo di volta in volta un ubriacone, un vagabondo, un mercenario. Un personaggio insomma più umano e reale, sul quale poi si baseranno in buona parte – con maggiore complessità e sfumature – le varie incarnazioni di John Wayne. E così, se il soggetto piuttosto semplice e lineare di Straight Shooting può fa pensare vagamente a Shane (Il cavaliere della valle solitaria, 1953), uno dei futuri grandi classici del western, il personaggio di Cheyenne Harry prefigura già, in parte, gli antieroi e le simpatiche canaglie che popoleranno gli schermi dello spaghetti western nostrano. Lungi dall’essere idealizzato, questo “cavaliere” ostenta sgradevolmente sotto i nostri occhi i suoi unici interessi, che sembrano essere l’alcool e le armi da fuoco. Un personaggio che ben si presta allo humour fordiano: la sua prima beffarda apparizione avviene quando l’uomo sbuca da dentro un albero cavo, sul cui tronco campeggia un avviso di taglia sulla sua testa.
Bisogna dire che, a differenza dei film della maturità di Ford, qui tutti i personaggi, i buoni come i cattivi, fatta eccezione per Harry e, in parte, Fremont, sono sbozzati, bidimensionali. Tuttavia possiamo rintracciare già da qui alcuni dei tratti salienti, a livello stilistico ed estetico, che caratterizzeranno il Ford maturo, senza contare che «possiamo sentire che la potenza delle immagini sullo schermo tende a trascendere le deboli idee dietro ad esse»[3]. A livello tematico, innanzitutto, il conflitto tra natura e civiltà, ovvero tra passato e futuro, che percorrerà in misura variabile tutti i western di Ford. Qui tuttavia il tema viene usato più che altro come puro innesco narrativo: il fatto che gli allevatori, coi loro grandi pascoli occupati dal bestiame, in questa occasione siano i cattivi e i contadini, coi loro recinti, i buoni, non risolve certo la visione di Ford, che si farà sempre più complessa e disillusa di film in film, e di decennio in decennio.
Quello che è già pienamente avvertibile in Straight Shooting è il senso della composizione nell’inquadratura, non solo negli spazi aperti, ma anche negli interni; la capacità di creare dei “gruppi” che sono al tempo stesso plastici e naturali, come nella commovente scena in cui Harry vede per la prima volta i Sims, padre e figlia, sulla tomba del loro ragazzo assassinato. O, poco dopo, in casa loro: Ford inquadra Harry, seduto accucciato sulla sinistra, che guarda fuori campo meditando il da farsi; il vecchio capofamiglia, distrutto dal cordoglio, al centro, e la giovane figlia dall’altro lato, che tiene la mano al padre e guarda il cowboy.
In altre numerose circostanze, Ford inquadra figure solitarie stagliate nella cornice di una porta, con l’esterno e la luce a fare da sfondo, come farà quarant’anni dopo in The Searchers (Sentieri selvaggi, 1956):
Sin dalla prima iniziale, un iris che, da un uomo seduto a cavallo, si apre per rivelare una brulicante mandria di bovini e altri cavalieri in una valle sotto di lui, sappiamo di essere nelle mani di un cineasta innato, con un senso della composizione fresco e pittorico[4].
Nella seconda parte del film, assistiamo a un duello piuttosto originale fra Cheyenne Harry e Fremont, il killer pagato per ucciderlo. I due camminano l’uno verso l’altro, col fucile imbracciato: Ford li inquadra in un campo lungo mentre procedono a passo lento l’uno verso l’altro. Ma poi li ritaglia ognuno nel suo spazio, alternando le inquadrature e riprendendoli sia in piani medi che in primi piani sempre più stretti e frontali (in alcuni casi con lo sguardo in macchina) e costruisce così drammaticamente la tensione che precede il duello. Quando sono giunti quasi uno davanti all’altro, Fremont si rifugia in una casa, mentre Harry prosegue dritto, quasi fingendo di non averlo visto. Dopodiché, cautamente, torna indietro e, nel momento in cui l’altro si affaccia, inizia la sparatoria che, chiaramente, va a vantaggio dell’eroe. Insieme a quella della tomba di Ted, è la scena più incisiva del film. Eppure non si tratta di un duello né epico né “pulito”, come vorrebbe il cliché del genere. E’ giocato sui sotterfugi, sulla rapidità, si vuole che finisca presto e a ogni costo. E’ qualcosa di molto realistico che raramente si vedeva – e si è visto dopo – nei western.
Soprattutto, è interessante notare la preferenza accordata all’uso del fucile anziché della pistola. Consultandosi con Pardner Jones, che era stato un vero sceriffo, Ford scoprì diverse cose interessanti su come andavano veramente le cose nel West:
[Pardner Jones] era solito raccontarci che nessuno di quei personaggi – Wild Bill Hickcok, Wyatt Earp – era stato un gran tiratore con la pistola. «Io non sono un grosso tiratore con la pistola», diceva Pardner, «e non ne ho mai conosciuto uno. Lo scopo era quello di intimidire l’uomo, di arrivargli il più vicino possibile. Se si era in un vero scontro a fuoco, si usava il fucile». Pardner diceva sempre: «Se un uomo allungava una mano per tirare fuori la pistola dalla fondina, si trovava morto prima di riuscire a estrarla.» (…) Pardner non riusciva a colpire neanche il soffitto con la pistola, ma una volta prese un fucile e mise una moneta da 10 cent a più di venti metri da lui e la centrò. Nessuna di quelle sciocchezze del tipo “pistola-veloce”, nessuno indossava abiti sgargianti, e non c’erano mai scene di saloon con ragazze poco vestite. Come diceva Pardner: «A Tombstone non abbiamo mai visto niente del genere».[5]
La parte finale dell’assalto alla fattoria dei Sims da parte degli uomini di Flint in cui si trovano i protagonisti – che ricorda una situazione simile nell’ultima parte di uno degli ultimi corti di Griffith alla Biograph, The Battle at Elderbush Gulch (1914) – procede con il tipico e ben assimilato montaggio serrato e alternato di stampo griffithiano. Ford dinamizza la violenza dello scontro non solo con il montaggio, ma anche ponendo la mdp (e dunque lo spettatore) al centro dell’azione, coi cavalli e i loro cavalieri che, partendo da dietro, compaiono all’improvviso dinnanzi a essa o che le vengono incontro a tutta velocità come per travolgerla.
Il finale è invece sentimentale, come spesso accadeva del resto nei western dell’epoca, compreso uno dei successivi, Hell Bent, sempre con Carey: anziché allontanarsi solitario verso l’orizzonte, come aveva inizialmente deciso, Cheyenne Harry resta presso la fattoria, diventando presumibilmente un contadino per amore della dolce Joan. Sarà invece Ethan Edwards alla fine di The Searchers, circa quarant’anni dopo, ad andarsene via, ma non senza prima stringersi un braccio con la mano, proprio come fa anche Harry in queste scene finali, seduto sul tronco caduto di un albero, per mostrare fisicamente il tormento del dubbio e il dolore del distacco.
Comunque sia, John Ford consegnò alla Universal i cinque rulli del suo film. Cinque rulli? Stando a quanto racconta Ford, i produttori si aspettavano un cortometraggio e dunque protestarono vivamente, stabilirono anzi di rimontare il film riducendolo a due bobine. Ma Carl Laemmle, che era a capo della Universal, decise di tenerlo così com’era, pronunciando la celebre battuta: «Se ordino un vestito completo e il negoziante mi dà un paio di pantaloni in omaggio, cosa dovrei fare secondo voi? Tirarglieli in faccia?»[6]. E fece bene, perché il film ottenne uno strepitoso successo di pubblico lanciando così la carriera del regista che all’epoca aveva soltanto ventitré anni.
Vittorio Renzi
Straight Shooting
Usa, 1917
regia: John Ford
sceneggiatura: George Hively.
fotografia: George Scott.
produzione: Universal.
cast: Harry Carey (Cheyenne Harry), Duke R. Lee (“Thunder” Flint), George Berrell (“Sweet Water” Sims), Molly Malone (Joan Sims), Ted Brooks (Tom Sims), Hoot Gibson (Danny Morgan/Sam Turner), Milton Brown (“Black Eye” Pete), Vester Pegg (Placer Fremont), William Gettinger
lunghezza: 5 rulli
durata: 71’
data di uscita: 27 agosto 1917
John Ford
[1] Joseph McBride, Michael Wilmington, John Ford, New York, Da Capo Press, 1975, p. 17 (traduzione mia).
[2] Peter Bogdanovich, Il cinema secondo John Ford, Parma, Pratiche, 1990, p. 50.
[3] Andrew Sarris, The John Ford Movie Mystery, Indiana University Press, Bloomington & London, 1975, p. 20 (traduzione mia).
[4] Joseph McBride, Searching for John Ford, Jackson, University Press of Mississippi, 2001, p. 114 (traduzione mia).
[5] P. Bogdanovich, op.cit., pp. 47-48.
[6] Ivi, p. 52.