Friedrich W. Murnau
SINOSSI: Il Granducato di Abacco, su un’isola, è indebitato con l’usuraio Markowitz. L’affarista Bekker si offre di acquistarne un pezzo in cui ci sono dei giacimenti di zolfo. Ma per il disappunto del suo ministro delle finanze, Don Paqueno, il granduca Don Ramon XXII rifiuta l’offerta. La granduchessa Olga dichiara per lettera la sua intenzione di sposare il granduca, colpita dal suo comportamento altruistico, ma la lettera finisce poi nelle mani di Markowitz. Bekker assolda dei balordi per preparare un’insurrezione. Intanto, l’avventuriero Phillip Collins si introduce in casa dell’usuraio per sottrargli alcune lettere di un suo cliente ricattato e si imbatte nella lettera di Olga, che trafuga lasciando lì una copia. Mentre Ramon e Paqueno salpano alla volta del continente, Olga, in incognito, diretta ad Abacco, si imbatte in Collins e insieme tornano ad Abacco, in seguito al colpo di stato sobillato da Bekker. Torna alche Ramon, ma rischia di finire impiccato per mano dei rivoltosi. Viene salvato dapprima da Olga, poi, definitivamente da Collins che gli restituisce la lettera originale di Olga, da esibire al fratello di lei. Il matrimonio ora viene concesso.
Guardandolo con occhi “vergini”, senza cioè aspettarsi le atmosfere del Murnau più noto ed amato, si ha tutta l’impressione che Die Finanzen des Großherzogs, la prima ed unica commedia da lui mai girata, sia stata per il cineasta tedesco una sorta di vacanza. Non perché dia adito di pensare che abbia preso il film alla leggera, dato che si tratta anzi di una produzione decisamente costosa, ma nel senso di una lieta parentesi nella sua filmografia orientata in genere a temi più gravi e a impegni artisticamente più ambiziosi. Lo stupore giunge per prima cosa dal fatto di assistere a una pellicola letteralmente immersa nella luce solare, in cui le scene in esterni che raffigurano l’isola, il palazzo ducale, il mare e le navi sono nettamente predominanti su quelle in interni o sulle scene notturne. In secondo luogo, a colpire è l’atmosfera da commedia fantastica e farsesca vagamente lubitschana, cui si aggiunge, nella seconda parte, un complicato intrigo avventuroso tipico dei serial degli anni Dieci, ma che fa pensare anche a certi film diretti da Fritz Lang: passaggi segreti, agguati, colpi di scena e salvataggi all’ultimo secondo. Certo, può anche essere che, consciamente o meno, questo clima “vacanziero” fosse anche una sorta di fuga dal mondo reale, considerando che il tema alla base del soggetto, e cioè quello dei dissesti finanziari, lungi dall’appartenere al solo granduca di questo regno immaginario, erano quelli della stessa Germania, dal momento che l’inflazione si aggravò proprio nel biennio 1922-23[1].
Le riprese avvennero tra la primavera e l’estate del ’23 sulle coste della ex Jugoslavia: Spalato, Dubrovnik, Catarro, Zara e l’isola di Arbe, il cui Grand Hotel fu usato per le riprese del palazzo del granduca (anche se Murnau, infastidito dalla presenza dei cavi del telefono, che trovava antiestetici, decise poi di ricostruire il castello nei teatri di posa di Babelsberg). Durante un primo viaggio esplorativo, Murnau fu accompagnato dagli scenografi Rochus Gliese e Walter Spiedd, nonché da un giovane interprete e aiuto regista, Eugen Sharin, che decenni dopo scrisse a Lotte Eisner raccontandole alcuni dettagli interessanti:
In quegli anni la Dalmazia non era così conosciuta come ai giorni nostri (…). Le ville patrizie e cadenti, ma piene di fascino nel loro stile veneziano, con i loro portali decorati e i colonnati eleganti, ebbero su Murnau l’effetto di un incantesimo (…). Le riprese senza attori iniziarono sulla nave scuola della Marina jugoslava Vila Velabita (Fata di montagna). Murnau filmò tutto: le manovre della nave, le vele che venivano issate, l’onda di prua e la scia di prora con tanto di panoramiche. Un incantevole totale della nave a vele spiegate, con tutti gli uomini sui pennoni, durante la presentazione all’Ufa-Palast a Berlino, si guadagnò un’ovazione a scena aperta.[2]
Nonostante l’entusiasmo iniziale per quei luoghi, tuttavia, Murnau non amava questo suo film e lo menzionava di rado, parlando della sua carriera. La Eisner, visionando una versione incompleta e in cattive condizioni, si chiedeva come fosse possibile che la qualità fotografica del film fosse stata tanto magnificata dai critici e dagli spettatori dell’epoca, anche se subito si domandava se non fosse quella copia ad aver perso la sua luminosità[3]. Ed era proprio così infatti: nella pellicola restaurata nel 1994 (ad opera di Cineteca di Bologna, Cineteca Italiana di Milano e Münchner Stadtmuseum), di cui oggi disponiamo, possiamo ammirare quella stessa magnificenza visiva che tanto colpì il pubblico dell’epoca e siamo perciò in grado di comprendere – tenendo anche conto dei gusti di quel pubblico – come mai quello che oggi è considerato un film minore di Murnau fu invece uno dei suoi più grandi successi. Più ancora che in Nosferatu (Nosferatu il vampiro, 1922), Murnau, da sempre amante del mare, oltre che della navigazione, ha modo qui di valorizzarne la naturale fotogenia, e quando diversi anni dopo, terminata la parentesi hollywoodiana, partirà alla volta di Tahiti per realizzare Tabu (Tabù, 1930), assieme a Robert Flaherty, andrà perciò a coronare un suo grande sogno.
Il film, strutturato in sei capitoli, segna la quarta e ultima collaborazione tra Murnau e Thea von Harbou, la quale poi si dedicò quasi esclusivamente a scrivere i film per Fritz Lang. Subito dopo Phantom (Fantasma, 1922), i due avevano realizzato Die Austreibung (t.l. L’espulsione, 1923), tratto da un dramma di Carl Hauptmann, fratello più celebre Gerhardt, e girato tra le montagne della Slesia, ad oggi considerato perduto. In questa bislacca fiaba moderna, ambientata nel favoloso regno di Abacco, Murnau dà comunque il meglio di sé, animando al meglio delle sua possibilità sia questi personaggi da operetta che gli ambienti in cui si muovono. Come in Phantom, anche qui Murnau e Karl Freund si servono di diversi movimenti di macchina, in una fase ancora sperimentale ma già decisiva rispetto alla grande rivoluzione della “cinepresa scatenata” del film successivo, Der Letzte Mann (L’ultima risata, 1924). Come ad esempio le due riprese in soggettiva di due mezzi di trasporto: la macchina, nella scena di città in cui Olga e Collins si imbattono nel taxi dal quale la donna era precedentemente fuggita, dimenticandovi la borsetta; o la barca a remi della marina imperiale russa che approda al porto di Abaco, una ripresa tutta tremolante con i marinai in primo piano. E poi ancora la plongée sui bambini che corrono inseguendo l’aereo che sorvola l’isola. Nelle suddette scene di città troviamo i primi segnali di quella “sinfonia della città” che Murnau comporrà poi in Der Letzte Mann e soprattutto in Sunrise (Aurora, 1927): macchine, tram, treni, un continuo movimento di persone e mezzi che sollecita sempre nuovi tipi di composizione delle immagini e della loro concatenazione.
Anche per l’attore veterano Alfred Abel si trattò di un’esperienza nuova: egli incarna l’avventuriero/ladro/gentiluomo Phillip Collins, una figura che fa pensare a certi personaggi di Feuillade o ancora di più all’Arsène Lupin, creato dal romanziere Maurice Leblanc nel 1905. Collins è a sua volta il protagonista di diversi romanzi dello svedese Frank Heller (pseudonimo di Martin Gunnar Serner), che è l’autore del testo all’origine del film, pubblicato nel 1915. Un personaggio allegro, spensierato e al tempo stesso determinato, quello di Alfred Abel, in forte contrasto con l’ingenuità, la mollezza e la mancanza di volontà di Lorenz Lubota in Phantom. In questo film, l’attore sorride spesso e volentieri, nelle varie sfumature che vanno dall’ironia bonaria alla furbizia. Oltre a questo si presenta come un personaggio elegante e raffinato, un uomo di città: lo vediamo seduto di sera al tavolo di caffè all’aperto a leggere un giornale, e sullo sfondo un viavai di gente e le insegne luminose dei locali. Nonostante questo, Collins è attratto dal fascino dell’avventura e dunque anche dei luoghi esotici (come lo stesso Murnau, del resto).
Nella prima scena in cui appare, all’inizio del secondo capitolo, Phillip sta avendo un colloquio con un suo cliente, un vecchio finanziere di nome Isaaks, in corsa per le elezioni del parlamento. Costui è ricattato dall’usuraio Markowitz che è in possesso di alcune sue lettere amorose a un’artista del circo, che chiama la sua “ragazza tutto pepe”. Vediamo prendere forma un primo piano della ragazza che va a sovrimporsi all’immagine di uno spettacolo del circo, con la stessa ragazza in veste di cavallerizza. Più tardi vediamo Collins fuoriuscire dal caminetto di Markowitz per trafugare le suddette lettere per conto di Isaaks, tutto sporco di fuliggine, ed è facile associarlo a uno dei vampiri di Feuillade. L’ambientazione circense era ricorrente nel cinema muto, vi furono ambientati diversi film danesi e svedesi degli anni Dieci e, di lì a un paio d’anni, il capolavoro di Ewald A. Dupont, Varieté (1926), seguito poi The Circus (Il circo, 1928), di Chaplin e così via. Lo stesso Murnau, in America, realizzò un film sul circo, The Four Devils (I quattro diavoli, 1928), che rientra purtroppo nella lista dei suoi film perduti.
Come se non bastassero la trama complicata e i vari episodi e personaggi che vi si succedono, incontrandosi, scontrandosi o dissimulando la loro vera identità, Murnau si diverte a inserire anche un paio di scene comiche quasi a sé stanti. Forse più bizzarre che comiche. Quella del branco di levrieri sguinzagliati per tutta la casa di Collins, sotto lo sguardo compassato e appena sgomento dei domestici, e che si ritrovano poi tutti a mangiare in una stanza componendo una curiosa coreografia; e poi l’incursione involontaria di Markowitz nella casa di due sedicenti “imitatori di animali”: un indirizzo che l’usuraio ha avuto da Collins, in realtà un trucco (cui si aggiunge la burla) per attirarlo fuori di casa. Ed è così che nella più improbabile delle situazioni, all’interno di già improbabilissima vicenda, l’usuraio si ritrova ad avere a che fare dapprima con una scimmia, poi addirittura con un gigantesco leone (ma è solo un uomo che indossa una maschera). Terrorizzato, l’uomo fugge via. Sono momenti in cui Murnau dimostra di avere uno strano senso dell’umorismo, vagamente inquietante, che da lui non ci si aspetta; eppure lo abbiamo già incontrato in Schloß Vogelöd (The Haunted Castle, 1921), nella sequenza del sogno di uno degli ospiti del castello, che vede apparire una gigantesca mano pelosa dalla finestra mentre, in parallelo, il giovane cameriere sogna una farsesca vendetta nei confronti del capo cameriere. Lo riscontreremo anche, più inatteso che mai, in Sunrise, nel “numero” del maialino in fuga per la dancing hall, che finisce poi per ubriacarsi in cucina leccando del vino dal pavimento. Per non parlare poi dei toni fortemente caricaturali (anche se già più giustificabili dal contesto) presenti in Der Letzte Mann, in Herr Tartüff (Tartufo, 1926) e persino in Faust (1926).
Ci sono molti momenti di pura commedia, battute che fanno già pensare ai classici americani degli anni Trenta: dopo aver truccato Olga per farla sembrare vecchia e brutta, in modo da eludere gli inseguitori di lei, Collins si sofferma a guardarla e dice: “Proprio come ho sempre immaginato mia moglie”. E così la battuta finale dell’imperatore russo, fratello di Olga, nel dare la sua benedizione al matrimonio fra la sorella e il granduca: «Preparate tutto per il matrimonio, sarà questa la punizione!», dice, alludendo al fatto che la lettera della sorella, per colpa della poca avvedutezza del granduca, era finita nelle mani di un usuraio. Un momento più slapstick si ha invece sulla nave russa, quando Markowitz supplica un marinaio di farlo salire e costui gli risponde che non è il caso, perché Sua Altezza imperiale è già di pessimo umore: con uno stacco di montaggio si passa in sottocoperta, dove un cameriere esce correndo da una cabina, inseguito da un servizio di piatti, bicchieri e persino un vassoio che vanno a infrangersi contro la parete del corridoio.
Oltre ad Alfred Abel, incontriamo qui una coppia di attori della Union, la casa che produce il film per la Ufa: l’affascinante Harry Liedtke, «il gentleman e charmeur del cinema tedesco degli anni Dieci»[4], nei panni del granduca, e, in quelli della principessa Olga, Mady Christian. Dei tre cospiratori, vestiti di stracci e dall’aria disperata, il più alto dei tre, vestito di scuro è Max Schreck. Irriconoscibile, probabilmente, perché siamo abituati ad associarlo al personaggio del Conte Orlok in Nosferatu, ovvero l’unico ruolo al quale il suo nome è rimasto legato. Qui in realtà possiamo scorgere, dietro il trucco, la barba sul mento e i capelli arruffati, la sua reale fisionomia.
In qualità di aiuto-regista (e, non accreditato, anche come scenografo) compare il futuro regista Edgar G. Ulmer, che sarà anche sul set di Der Letzte Mann.
Vittorio Renzi (28 gennaio 2018)
Die Finanzen des Großherzogs (Le finanze del granduca)
[The Grand Duke’s Finances]
Germania, 1924
regia: Friedrich Wilhelm Murnau
soggetto: romanzo Storhertigens finanser di Frank Heller
sceneggiatura: Thea von Harbou
fotografia: Karl Freund
aiuto regia: Edgar G. Ulmer
scenografia: Rochus Gliese, Erich Czerwonski [e Edgar G. Ulmer]
produzione: Erich Pommer, per Universum Film (UFA)
cast: Harry Liedtke (granduca Don Ramon XX), Alfred Abel (Phillipp Collin), Mady Christians (granduchessa Olga), Adolphe Engers (Don Esteban Paquero), Guido Herzfeld (Semjon Marcowitz), Ilka Grüning (Augustine), Julius Falkenstein (Ernst Isaacs), Hermann Vallentin (Bekker), Robert Scholtz (fratello di Olga), Walter Rilla, Hans Hermann Schaufuß, Georg August Koch, Max Schreck (cospiratori)
lunghezza: 8 ( ?) rulli, 2.483 metri
durata: 80’
première: Berlino, 7 gennaio 1924
[1] Janet Bergstrom, Murnau at the Crossroads. Phantom and Die Finanzen des Großherzogs, nel booklet del cofanetto Blu-ray Early Murnau. Five Films, 1921-1925, Eureka, 2016, p. 29 (traduzione mia).
[2] Lotte H. Eisner, Murnau. Vita e opere di un genio del cinema tedesco, Padova, ALET, 2010, pp. 139-140.
[3] Ivi, p. 138.
[4] Francesco Bono, F.W. Murnau all’Ufa, in G. Spagnoletti (a cura di), Schermi germanici. Ufa 1917-1933, Venezia, Marsilio, 1993, p. 168.