Anthony Asquith
SINOSSI: Due uomini, l’impiegato della metropolitana Bill e l’elettricista Bert, s’innamorano della giovane commessa Nell. La donna sceglie Bill, ma Bert non accetta il rifiuto e convince la sua spasimante e vicina di casa Kate a fingere di essere stata aggredita da Bill all’interno della stazione della metropolitana. Bill perde in un colpo solo il lavoro e la ragazza. Ma Nell ben presto è assalita dal dubbio che si tratti di una macchinazione. Si reca così da Kate che, dopo aver capito di essere stata raggirata da Bert, confessa tutto. Bill e Kate vanno alla centrale elettrica per affrontare Bert, ma l’uomo uccide Kate provocando un blackout in tutta Londra e fugge. Dopo un inseguimento per i tunnel della metropolitana, i due uomini si affrontano in un ascensore e Bill ha la meglio. Ora può finalmente riavere il suo lavoro e sposare Nell.
Dopo l’ottima accoglienza di pubblico e critica ottenuta con Shooting Stars (1927), suo film d’esordio, co-diretto insieme a A.V. Bramble, con Underground Asquith fa il suo debutto ufficiale come autore unico autore. E ritroviamo qui lo stesso tocco, la stessa eleganza e la stessa passione nell’esplorare quanto più possibile il mezzo cinematografico. Se Shooting Stars era un esplicito omaggio al mondo del cinema, con Underground Asquith si volge ora a un altro simbolo della modernità urbana: quella “ferrovia metropolitana” che proprio a Londra aveva fatto la sua prima apparizione nel 1863.
Underground oggi rischia di apparire un po’ come il frutto di un eccesso di bulimia cinefila da parte del suo autore, che vuole inglobare tutto, dai generi cinematografici già in via di una codificazione classica, alle tecniche di illuminazione e di ripresa, alle mode estetiche allora imperanti. I primi rulli sembrano ispirarsi a quelle “sinfonie delle città” di quegli anni in cui confluivano vari elementi delle avanguardie, in una sorta di celebrazione della frenesia e della vitalità della “città del sottosuolo”; ben presto il film si tramuta in una commedia sentimentale con triangolo, mantenendo però sempre un tono leggero. Ma poi, esattamente a metà film, la vicenda prende le fosche tinte del dramma con venature espressioniste per poi deflagrare nel thriller hitchcockiano. Una girandola tematico-stilistica frastornante che però rivela un venir meno di quella perfetta coerenza e compattezza caratteristica dell’opera prima. Un aspetto che alcuni critici dell’epoca non mancarono di rimproverare ad Asquith, accusandolo di aver usato il proletariato urbano solo come pretesto, senza approfondire i reali aspetti della vita dei lavoratori che quotidianamente affollavano la metropolitana, o addirittura etichettandolo come “virtuoso”[1].
Detto questo, il film risulta comunque avvincente e godibile ed è tutt’altro che privo di meriti artistici. Il movimento che caratterizza tutta l’opera è presente già nei credits iniziali che scorrono sullo schermo in dissolvenza incrociata, una figura linguistica molto usata lungo tutto il corso del film. Il titolo viene a coincidere con l’insegna posta in una delle tante stazioni del tube londinese che subito la prima inquadratura rende protagonista: una soggettiva della locomotiva che, dall’interno della cabina, riprende la corsa del treno sotterraneo dal buio di un tunnel fino alla luce improvvisa di una stazione gremita di persone. L’azione si sposta quindi all’interno di un vagone, che si fa subito teatro di una “commedia umana metropolitana”, con tutti i cliché del caso: due militari si alzano per far sedere una signora e, al posto di uno di loro, si siede invece, un giovane maleducato, ovvero Bert. Costui prende a leggere il giornale del suo vicino, un omino occhialuto che si mostra alquanto scocciato; Bert prende poi a fissare la sua vicina di posto, Nell, mettendola in imbarazzo; due ragazze, ridono e scherzano, incuranti della signora estranea, visibilmente a disagio, che siede in mezzo a loro; un omone che occupa da solo metà della larghezza del vagone troneggia in piedi, aggrappato alle maniglie con entrambe le braccia, e così via. Arrivati alla stazione, un’inquadratura ravvicinata riprende le scale mobili in movimento, come fosse un meccanismo astratto, seguita da un rapido movimento all’insù nel momento in cui un uomo sale velocemente in gradini; infine, una serie di sovrimpressioni di persone e ambienti.
Quando poi Nell perde i guanti Bill cerca di restituirglieli, si crea la situazione per la quale lei tenta di scendere dalla scala mobile per la quale è salita, che logicamente continua a portarla verso l’alto, mentre Bill sale dalla scala a lui più vicina che è quella che va in discesa. I due si incontrano così a metà delle loro rispettive scale mobili, ma devono continuare a muoversi per poter rimanere “fermi” faccia a faccia in quel punto. Come in Shooting Stars, dunque, anche qui Asquith si mostra attratto dalla forza puramente cinetica delle immagini. In un’altra breve scena poco più avanti, Bert, scendendo velocemente le scale, urta una signora alla quale cade un pacco che rotola giù: la mdp segue l’oggetto con una rapidissima panoramica, perdendo di vista, anche se per un breve momento, l’ambiente, il contesto e anche la messa a fuoco. La ripresa insegue perciò un qualcosa di puramente cinetico e astratto.
Oltre al movimento, Asquith, coadiuvato nuovamente dall’operatore Stanley Rodwell e dal tecnico delle luci tedesco Karl Fischer, gioca con l’illuminazione proiettando ombre sui muri e facendo così, un espressionismo un po’ di maniera, buono per tutte le stagioni. Egli ripete infatti uno stesso espediente in due diversi contesti e climi narrativi: nel primo caso, Bill e Nell, al riparo da sguardi indiscreti presso le scale d’emergenza, si danno il loro primo appuntamento guardandosi intensamente, mentre in cima alle scale si proietta l’ombra di due amanti che si baciano, come fossero i doppi dei due protagonisti. Nella seconda parte, invece, nello stesso luogo una situazione simile ma diversa si ripete quando Kate tenta di sedurre Bill per screditarlo. In tal caso, l’ombra in cima alle scale è quella del manipolatore Bert. Nel rivelarci i sentimenti di Kate per Bert, il suo vicino di casa, nella sequenza in cui lo guarda entrare in casa affacciata alla balaustra del piano di sopra, Asquith dapprima ricorre a una forte angolazione dall’alto verso il basso, seguendo lo sguardo di lei; dopodiché, ricava un’inquadratura composita, in cui le sbarre della balaustra e le ombre proiettate verso il basso dal lucernario moltiplicano la cornice del quadro con un effetto cupo e drammatico, che in questo caso sembra eccedere il contesto (soprattutto considerando il fatto che, un momento prima di affacciarsi, Kate rimane nell’ombra con la metà superiore del viso, compresi gli occhi, neanche fosse un’assassina in agguato).
Cornici e ombre a parte, la dinamica degli sguardi dall’alto verso il basso o viceversa è ricorrente in tutto il film e traccia una serie di casistiche amorose fra i quattro personaggi principali. Nel caso appena descritto, l’angolazione alto/basso dello sguardo sta a indicare l’individuazione di un oggetto del desiderio. In altri casi invece pone in evidenza chi fra l’uomo e la donna ha in quel momento il controllo della situazione (sguardo dall’alto) e chi in qualche modo sottostà alle decisioni dell’altro (sguardo dal basso): nel primo caso, ad esempio troviamo Bert appoggiato sul bancone del negozio in cui lavora Nell: lui la guarda con desiderio e lei, da un piano un po’ rialzato per via della pedana su cui si trovano le commesse, gli rimanda uno sguardo diffidente, anche se lusingato; nel secondo caso, nella stanza di Bert, Kate è inginocchiata in terra davanti a lui per raccogliere un fiore caduto all’uomo e il suo sguardo tenero rimbalza contro il muro di indifferenza dell’uomo. La reciprocità di sentimenti – quella fra Bill e Nell – è invece espressa quasi sempre da uno sguardo in cui i due sono allo stesso livello.
Ma questa prospettiva può essere anche ribaltata, come nella bellissima scena del picnic di Bill e Nell, nel momento in cui lei, seduta, è inquadrata dall’alto mentre parla a Bill, che è in piedi, e alla fine allunga una mano verso l’uomo (tutto questo mentre subito prima un simpatico monello ha tentato di rubare loro il pranzo). In questa scena in particolare si sprigiona tutta la bellezza sofisticata di Elissa Landi, con quegli occhi che d’improvviso, e senza alcuna ragione apparente, sembrano velarsi di malinconia. Nella sequenza dell’appuntamento che precede il picnic, Asquith gira in esterni con una carrellata in stile documentaristico che accompagna vari passanti e la stessa Nell sul lungo Tamigi, dove s’imbatte in Bert. Dopo essersene sbarazzata, la ragazza incontra Bill alla fermata dell’autobus. E qui vediamo un’inquadratura costruita come se fosse “rubata”, in stile cinema-verità: la macchina da presa, posizionata sul predellino dell’autobus, inquadra in piano medio Bert e Nell parlano del più e del meno e Bert le porge un fiore. Sul lato sinistro del quadro appaiono in primo piano, il cappello e la nuca dell’autista o controllore dell’autobus, mentre intorno, dietro e davanti ai due giovani è tutto un via vai di persone che salgono sul mezzo pubblico, coprendoli a intermittenza alla nostra vista.
A partire dalla scazzottata al pub fra Bill e Bert entriamo in una nuova fase del film quella drammatica/thriller. Bert rivela all’improvviso fino a che punto la sua natura sia malvagia. In questa scena, scatenatissima dal punto di vista registico, assistiamo a soggettive dei due contendenti, pugni dati direttamente in macchina, specchi che si rompono rivelando l’illusione di un’immagine che fino a quel momento consideravamo l’”originale” e naturalmente un montaggio frenetico, con tanto di ellissi: i corpi di Bill e Bert cadono a turno in terra senza che si vedano i colpi ricevuti. Non contento, Asquith inserisce anche la parentesi comica di una signora anziana che, all’esterno del pub, vedendo cadere le palle da biliardo (dalla finestra del pub) apre l’ombrello maledicendo il clima. Ma è l’ultimo sorriso: le ombre s’infittiscono e s’impadroniscono dei personaggi, come nella scena in cui Bert, dopo aver mentito a Nell per raggirarla, esce dal suo appartamento e si appoggia alla parete, mentre le ombre ingigantite delle sbarre si allungano sul muro, come un presagio della prigione che lo aspetta. Poco dopo, anche Nell rimane prigioniera dell’intrico espressionistico di ombre e luce quando, giunta nello stabile dove alloggiano Bert e Kate per indagare sui rapporti che intercorrono fra loro, viene sorpresa dall’arrivo di Bert e si nasconde, senza saperlo, proprio nell’appartamento dell’uomo, che vi entra subito dopo ma senza scoprirne la presenza.
Una sequenza interessante e ricca di sfumature psicologiche, in cui si sente la lezione di Stroheim, è quando Kate, grazie a Nell, prende coscienza delle bugie di Bert e quasi esce di senno: qui Asquith ricorre a un fitto armamentario di luci, ombre, angolature di ripresa, movimenti di macchina e sfocature per evidenziare la follia e il delirio della giovane sarta. Da principio il suo viso, sempre suddiviso tra ombre e luce, manifesta dei tic, poi la ragazza inizia a vagare per la stanza e a compiere gesti apparentemente insignificanti come se stesse cercando di mantenere un equilibrio impossibile. Infine si siede di nuovo al tavolo e mentre si toglie nervosamente il foulard dal collo, un carrello obliquo si precipita verso di lei: in quel momento la disperazione e il delirio esplodono. La ragazza si alza di scatto e si precipita alla porta, ma dietro vi trova Bill. Il volto di Kate, ripreso in primo piano oltre la nuca dell’uomo, è ora sfocato. La ragazza inizia a indietreggiare fino a tornare a fuoco: il suo sorriso ebete si tramuta nei singulti di una risata demente.
Nella penultima sequenza, quella della resa dei conti alla centrale elettrica, il ritmo del film è giunto ormai al suo punto di fusione: dopo un altro momento di delirio in cui Kate vede, in soggettiva, una sovrimpressione del volto di Bert sul mastodontico edificio, parte una carrellata che segue lateralmente la giovane mentre corre verso la centrale. Ma all’improvviso la mdp si stacca da lei e s’innalza procedendo per conto proprio per inquadrare in volata le pareti laterali e poi la facciata e le svettanti canne fumarie della centrale. Nel frattempo, Bill siede in un ufficio e dalla grande finestra della parete di fondo si vedono le silhouette di grossi macchinari: impossibile qui non pensare all’elegia distopica della macchina in Metropolis (1927) di Lang.
Kate ora ha raggiunto la sala dove lavora Bert, nei pressi del “cuore elettrico” della città. Ed ecco, una dopo l’altra, due situazioni-cliché che ancora oggi vengono riproposte instancabilmente in moltissimi thriller e film dell’orrore: Bert sta armeggiando in primo piano dentro al vano con dei cavi dell’alta tensione. Quando richiude lo sportello, che copre lo sfondo del quadro, Nell compare sul fondo appoggiata alla parete, immobile e in agguato. Cambia poi l’angolatura della ripresa: soggettiva di Nell che sta guardando Bert, di nuovo chino sul vano. L’inquadratura prende a muoversi rapidamente carrellando in avanti fino ad arrivare su Bert che d’istinto si volta verso l’obiettivo riparandosi il volto con una mano. Ma l’assassino/mostro, nonostante tutto, è Bert: dopo che Kate lo ha minacciato di rivelare il suo losco piano, la uccide gettandola nel vano e provocando il blackout totale della città. Con l’inseguimento finale dei due uomini, si passa dal thriller al cinema d’azione, con tanto di peripezie sul tetto dell’edificio (con una bella vista dello skyline londinese sul Tamigi) e acrobazie su una gru, fino alla resa dei conti finale, originalmente tenuta fuori campo dalla regia: solo quando l’ascensore della metropolitana si apre al piano scopriamo quale dei due uomini è rimasto a terra.
Il film è stato restaurato grazie al British Film Institute nel 2009. Nel 2011 il compositore Neil Brand ha scritto una nuova partitura che accompagna molto bene il film in tutti i suoi compositi passaggi narrativi.
Vittorio Renzi (22 novembre 2016)
Underground
Gran Bretagna, 1928
regia e sceneggiatura: Anthony Asquith
fotografia: Stanley Rodwell
luci: Karl Fischer
musica: Neil Brand (2011)
scenografia: Ian Campbell Gray
produzione: H. Bruce Woolfe, per Cricklewood Studios, Elstree Studios
cast: Elissa Landi (Nell), Brian Aherne (Bill),
Cyril McLaglen (Bert), Norah Baring (Kate)
lunghezza: 8 rulli, 7.282 piedi
durata: 84’ / 92’
distribuzione: luglio 1928
[1] Rachel Low, The History of the British Film 1918-1929, London, George Allen & Unwin Ltd, 1971, p. 183-84.