Shoulder Arms (Charlot soldato, 1918)

Charles Chaplin

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Shoulder Arms fu girato quando la Grande Guerra era ancora in corso: le riprese iniziarono infatti il 27 maggio del 1918 e terminarono in settembre. Amici e collaboratori gli sconsigliavano di realizzare una commedia su un tema così tragico che stava dissipando un numero inaudito di vite umane. Ma Chaplin era troppo attratto dall’idea. Il suo progetto comunque conobbe varie fasi e modifiche, segno che fu meditato e calibrato attentamente. Egli riuscì a trovare il giusto tono fra commedia e tragedia, senza rinunciare a far ridere, ma al tempo stesso mostrando la terribile vita di trincea, sempre appesa a un filo, tra il fango e gli assalti dei nemici, e raccontando anche l’illusione amara dell’eroismo, la nostalgia di casa, il senso di solitudine e di angoscia del soldato. A conti fatti la sua scelta fu vincente: Shoulder Arms si rivelò uno dei suoi maggiori successi. Si tratta della sua terza produzione indipendente per la First National. Già da anni Chaplin era proiettato verso l’idea di un cinema di più ampio respiro, che andasse oltre il puro e semplice burlesque.

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Con A Dog’s Life (Vita da cani, 1918), uscito nella prima metà di quello stesso anno, aveva valicato per la prima volta il limite delle classiche due bobine approdando a tre, e quindi al mediometraggio. Con il film in questione voleva osare ancora di più. Per come era stato progettato inizialmente, Shoulder Arms avrebbe dovuto essere composto da cinque rulli. Inizialmente l’autore aveva concepito un prologo che mostrava la vita domestica del protagonista da civile, prima di partire per il fronte, con una moglie tirannica e parecchi figli. Successivamente, per esigenze di maggior coesione narrativa, Chaplin lo eliminò, cestinando un intero mese di lavoro e riprese. Tuttavia, la sequenza della visita medica, girata a mo’ di teatro delle ombre cinesi con le silhouette di Charlot e del medico viste attraverso il vetro smerigliato dello studio medico, fu riscoperta molti decenni dopo e inserita nella miniserie televisiva «Unknown Chaplin» (1983). Un’altra scena fu invece tagliata dalla censura, e precisamente quella in cui «lo si vedeva [Charlot] strappare per ricordo i bottoni della redingote a Poincaré e al re d’Inghilterra»[1].

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Lo sguardo di Chaplin sulla guerra è uno sguardo da umanista che ritroveremo sostanzialmente identico – anche se più articolato – ventidue anni dopo in The Great Dictator (Il grande dittatore, 1940). La guerra non è un male necessario, per Chaplin: è un male e basta. Dunque, come antidoto, le contrappone la risata, anche se amara. A dire il vero, Shoulder Arms rivisto oggi risulterebbe divertente e basta, se non fosse per la cornice del sogno in cui è racchiuso: un escamotage narrativo che oggi potrebbe essere bollato come un cliché abbastanza scontato e fin troppo “facile”, ma che in questo caso ha un significato ben preciso, quello di prendersi gioco degli ideali (di eroismo, di patriottismo) di tutta una classe dominante, ideali che Charlot una volta di più si trova a subire e il suo autore a rovesciare attraverso la lente deformante del comico e della satira. Fra le innumerevoli gag proposte, c’è quella di Charlot che imbraccia un fucile e inizia a fare fuoco contro la trincea nemica e, ad ogni bersaglio centrato, incide una tacca su un’asse di legno. Salvo poi cancellare l’ultima quando il nemico gli spara di rimando, per poi aggiungerla di nuovo quando finalmente riesce a centrarlo. E’ una gag, questa, che si riallaccia a un immaginario western, quello del mito del pioniere, del cowboy coraggioso che si apre la via tra i nemici (siano essi pellerossa o banditi) a colpi di fucile: prende cioè di mira il mito fondativo di un’intera nazione trasposto ora nelle trincee della prima guerra mondiale, e tutto questo a un anno dall’intervento degli Stati Uniti.

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La progressione di queste gag sempre più paradossali, in cui Charlot si barcamena fra istinto naturale di sopravvivenza ed eroismo indotto (dai valori appunto della classe dominante, qui incarnata dal mondo militaresco) sfocia finalmente nel massimo atto di eroismo (e quindi nella massima accettazione del vagabondo/diseredato da parte della società): l’ingegnosa cattura nientemeno che del Kaiser Guglielmo II. Ma subito dopo il suo discorso al popolo (discorso che poi Charlot terrà – ma prendendosi, giustamente, molto più sul serio – nel già citato film del 1940), Charlot si risveglia sulla branda, nella sua tenda, dove si era addormentato a pochi minuti dall’inizio del film. La guerra è ancora tutta da combattere, il nemico è ancora lì, nella sua trincea, e Charlot, lungi dall’essere un eroe, ancora non riesce a marciare con i piedi diritti, poiché gli sfuggono sempre all’esterno: e mai come in questo film, questo particolare “tic” del personaggio diventa implicitamente un segno anarchico di ribellione al conformismo di un mondo che procede ciecamente al passo dell’oca.

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Ecco un elenco di alcune delle gag presenti nel film: quella iniziale, cui abbiamo già accennato, in cui durante l’esercitazione, Charlot non riesce a tenere i piedi all’indentro, ma sempre all’infuori ed esegue passi di ballo anziché passi marziali. La trappola per topi appesa al collo, che dice tutto sulla situazione disumana della vita in trincea, perennemente allagata. Charlot riceve da casa un pacco con del formaggio Limburger puzzolente: subito indossa una maschera antigas e lancia il formaggio al nemico come fosse un’arma chimica, in un momento di puro slapstick che ricorda le torte in faccia delle sue prime comiche alla Keystone di Mack Sennett. Il formaggio centra la faccia dell’ufficiale tedesco, un nanerottolo (interpretato da Loyal Underwood) che urla continuamente ordini ai suoi sottoposti. Più avanti, quando Charlot li catturerà, prenderà l’ufficiale sulle sue ginocchia per sculacciarlo.

Quando la trincea si allaga del tutto, Charlot e i suoi commilitoni si ritrovano a tentare di dormire in quelle condizioni, fra coperte e cuscini inzuppati e oggetti che galleggiano tutto intorno e persino una rana. Rassegnatosi a dormire sott’acqua, Charlot afferra l’imbuto di un grammofono e lo usa come respiratore. Al mattino i soldati si massaggiano i piedi intirizziti. Charlot si rende conto che sta massaggiando i piedi di un altro soldato: gag di cui poi forse si ricorderà Samuel Fuller, anche se in una chiave molto drammatica e allucinata, in Fixed Bayonets! (I figli della gloria, 1951).

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C’è anche una gag verbale: dopo la cattura eroica di tutti i nemici della trincea, a un ufficiale che gli chiede come abbia fatto a catturare i nemici, Charlot risponde: «Li ho circondati». Oramai “veterano”, Charlot è divenuto spavaldo: si fa stappare una bottiglia di vino da uno degli spari provenienti dalla trincea nemica e subito dopo, allo stesso modo, si fa accendere una sigaretta. Poi afferra il fucile e spara i nemici, segnando le tacche di quelli che uccide. Ma la gag più celebre è senz’altro quella di Charlot che, mandato in missione, si traveste da albero, mette fuori combattimento diversi soldato nemici in un bosco. Infine, il travestimento con cui inganna i soldati nemici, le sberle che rifila al suo commilitone americano per convincere i tedeschi di essere uno di loro, e la rocambolesca cattura del Kaiser.

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Accanto a questi numeri esilaranti, esistono dei momenti in cui Chaplin si prende una pausa per esplorare il lato più malinconico del personaggio, data la situazione tragica in cui si trova. Ecco perciò emergere tutta la sua solitudine quando, immobile nella sua trincea, la sua mente fugge via altrove e una sorta di split screen ci mostra la sua casa, le persone che ama e da cui vorrebbe tornare. E poi, subito dopo, in sovrimpressione, la figura di un barista (interpretato da suo fratello, Sydney Chaplin, che più tardi compare anche nelle vesti del Kaiser), che prepara una bella birra fredda. Più avanti, non avendo ricevuto posta, Charlot non solo sbircia la lettera che un altro soldato vicino a lui sta leggendo, ma reagisce empaticamente (gioia, sorpresa, sgomento) a quello che vi è scritto, come se la lettera fosse indirizzata a lui. In questi due momenti, in particolare, Chaplin lascia emergere la verità della guerra dal punto di vista di un soldato, di un uomo, prigioniero di una situazione che nessuno vorrebbe (né dovrebbe) mai vivere.

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Edna Purviance interpreta qui il ruolo della fanciulla francese che Charlot incontra in una casa diroccata dove si rifugia mentre è inseguito da un drappello di soldati nemici: dapprima lei salva lui, poi lui salva lei e infine i due si innamorano. Il film, assieme a A Dog’s Life e agli altri del periodo National, fu in seguito rieditato e inserito dallo stesso Chaplin nella raccolta intitolata The Chaplin Revue (1959).

Vittorio Renzi  (8 novembre 2016)

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Shoulder Arms (Charlot soldato)

Usa, 1918

regia, sceneggiatura e montaggio: Charles Chaplin

fotografia: Roland H. Totheroh

produzione: Charles Chaplin, per Charles Chaplin Production

distribuzione: First National

cast: Charles Chaplin (il soldato), Edna Purviance (la ragazza), Sydney Chaplin (soldato/Kaiser), Jack Wilson (Pincipe ereditario), Henry Bergman (soldato tedesco grasso), Loyal Underwood (soldato tedesco basso), Tom Wilson (taglialegna tedesco), Albert Austin (ufficiale americano/soldato tedesco rasato/soldato tedesco barbuto), John Rand, Park Jones (soldati americani)

lunghezza:  3 rulli, 3.142 piedi

durata:  45′

première: 20 ottobre 1918

shoulder arms poster


[1] Georges Sadoul, Storia del cinema mondiale dalle origini ai nostri giorni, Milano, Feltrinelli, 1964, p. 183.

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