Rupert Julian
SINOSSI: All’Opéra di Parigi circola un’inquietante leggenda: esisterebbe un fantasma che vive nei sotterranei del teatro. I nuovi proprietari si burlano di queste dicerie, ma ben presto l’oscuro personaggio inizia a inviare lettere minatorie intimando di affidare il ruolo di Marguerite, del “Faust”, alla giovane soprano Christine Daaé, anziché alla famosa Carlotta. Ignorate le sue richieste, il misterioso fantasma, il cui vero nome è Erik e va in giro con una maschera sul volto sfigurato, inizia a mettere in atto le sue minacce, fino a far precipitare il pesante lampadario centrale del teatro sul pubblico. Alla fine il suo desiderio viene accolto e Christine inizia la sua ascesa artistica. Ma accortosi che la giovane nutre un sentimento per il visconte Raoul de Chagny, Erik decide di rapirla e tenerla con sé nei sotterranei. Comincia allora la caccia all’uomo, nella quale Raoul viene affiancato dal misterioso ispettore Ledoux.
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Nel 1922, il produttore della Universal, Carl Laemmle, era in viaggio a Parigi dove conobbe Gaston Leroux. Mentre parlavano dell’Opéra di Parigi, Leroux fece dono a Laemmle di una copia del suo romanzo, Le Fantôme de l’Opéra (1910). Laemmle lo lesse in una notte e decise di acquistarne i diritti. Per la parte del Fantasma pensò subito a Chaney. La regia fu affidata a Rupert Julian, che fu il primo regista neozelandese e fu anche attore, sceneggiatore, produttore e regista. Fra gli altri lavori, gli fu affidato, nel 1923, Merry-Go-Round (Donne viennesi), dopo il siluramento di Erich von Stroheim. Curiosamente, a Julian accadde una cosa simile con The Phantom of the Opera. Dopo le due première tenutesi nel gennaio del 1926 a Los Angeles, ai produttori non piacque il tono troppo cupo e gotico del film, temevano che sarebbe stato male accolto dal pubblico. Imposero perciò di rigirare gran parte del film, ma Julian se ne andò e al suo posto subentrò Edward Sedgwick. Furono riscritte alcune scene per far somigliare il film più a una commedia romantico-avventurosa e meno a un thriller gotico. Addirittura furono inserite delle parti comiche del tutto anodine affidate all’estro di Chester Conklin e fu introdotto il personaggio del conte russo Ruboff, interpretato da Ward Crane, per creare un triangolo sentimentale fra gentiluomini.
Ma questa versione rivista e corretta, proiettata nell’aprile dello stesso anno, fu un tale fiasco che si decise di ricondurre il film al suo aspetto originario e quasi tutto il girato di Sedgwick fu tagliato, tranne il finale con l’inseguimento e il linciaggio del Fantasma da parte della folla (laddove il finale originale prevedeva la redenzione del Fantasma grazie a un bacio di Christine). La nuova versione approdò nelle sale il 6 settembre e fu un grande successo. A tal punto che alla fine degli Anni Venti, la Universal pensò bene di rieditare il film in sonoro, rigirando diverse scene di dialogo. Ma Chaney non era più disponibile, dato che era passato alla MGM (e che morì, ad ogni modo, di lì a poco). La versione sonora fu considerata a lungo perduta, ma lunghi estratti sono stati poi rinvenuti e sono visibili in alcune edizioni Blu ray, senza contare che alcune delle scene rigirate nel 1929 sono ora visibili nella versione del 1925, perché di qualità migliore rispetto all’originale. Furono poi girate a colori diverse scene, utilizzando il metodo Technicolor Process 2, per un totale di 17 minuti di riprese. Tuttavia oggi solo la scena del ballo in maschera sopravvive a colori, mentre tutte quelle riguardanti la messa in scena del Faust, nonché la scena introduttiva, anch’esse concepite a colori, oggi sono visibili solo in bianco e nero.
Pur essendo l’adattamento più fedele al romanzo di Leroux, e a tutt’oggi il migliore, il film è limitato da alcune debolezze nella trama e stiracchiamenti di ritmo, soprattutto nella prima metà. Debolezze ancora più evidenti nella semplificazione dei caratteri dei personaggi: viene meno infatti il sentimento irrisolto di Christine per Erik, un misto di orrore e di pietà, di ammirazione per la sua voce e il suo genio musicale e di disgusto per il suo aspetto. Senza contare che l’interpretazione piuttosto convenzionale e priva di sfumature della bellissima Mary Philbin non aiuta molto ad arricchire il personaggio di Christine. Tralasciata qualsiasi notizia sulle sue origini, anche il personaggio di Erik viaggia in una direzione pressoché unica, quella della sua follia omicida, mentre il suo volto umano e artistico ci viene mostrato solo a sprazzi e unicamente in funzione della sua ossessione amorosa verso Christine. Ma, nel suo caso, ciò rafforza la componente misteriosa e oscura del personaggio.
In parte, questi aspetti più sfumati di entrambi i personaggi saranno parzialmente recuperati nella celebre versione del 1943 di Arthur Lubin (a mio parere assai mediocre), in cui l’orrore cede il passo alla commedia romantica e la dimensione musicale – quest’ultima senza dubbio centrale nel romanzo di Leroux – finiscono per rubare troppo spazio a quella horror. Per non parlare poi del triangolo amoroso e delle schermaglie fra i due pretendenti: in pratica, proprio quello che aveva tentato di fare la Universal nella seconda versione del film muto, poi abortita.
Nel film di Rupert Julian, invece, l’equilibrio fra quello che accade sopra al palco e nei recessi del teatro è ben equilibrato. C’è infatti per tutto il tempo un sopra (il palcoscenico, la buona società, ma anche l’arrivismo, il perbenismo) in costante lotta con il sotto (i cunicoli, il reietto, il rimosso, l’inconscio, la solitudine, la follia). E già a livello scenografico, questo sotto è costituito in modo da significare evidentemente un’estensione della figura de Fantasma. Che non è soltanto un folle assassino, ma anche un artista incredibilmente dotato e sensibile al bello, ma che, scacciato nel sottosuolo, non può esprimersi altro che come mostro. Un mostro che conosce molto bene il mondo del teatro e tutti i suoi trucchi, intendendo con ciò non solo le botole, i passaggi segreti e via dicendo, ma anche i coup de théâtre, le mascherate per terrorizzare, per farsi ascoltare e vedere. Alcune delle sue apparizioni avvengono in mezzo a scenografie abbandonate degli spettacoli passati dell’Opéra, fra porte a forma di bocche giganti di drago e imponenti statue. E quando deve scegliere un costume per partecipare in incognito al ballo in maschera, compare vestito da Morte Rossa, la misteriosa entità sterminatrice del celebre racconto di Poe del 1842.
Naturalmente, il fatto che l’allestimento che scatena le apparizioni del Fantasma e la sua pretesa di imporre Christine come primo soprano, sia proprio il Faust, l’opera di Charles Gounod, non può che spingere fino all’apice il già tragico destino di Erik, costituendosi, letteralmente, come colonna sonora di quei foschi e tristi eventi.
Il personaggio del Persiano, che nel romanzo è l’unico a conoscere di persona e da molto tempo Erik, nel film viene interpretato da Arthur Edmund Carewe. Ma in fase di post produzione, questo personaggio, con un cambiamento di nomi nelle didascalie, venne trasformato nel più canonico ispettore della polizia segreta Ledoux (probabilmente, un omaggio quasi omonimo all’autore del romanzo). Ma le tracce delle sue origini permangono nel pathos con cui viene introdotto, sia in termini di illuminazione che di tipologia delle inquadrature, tramite le quali emerge come un personaggio ben più misterioso e inquietante di un poliziotto.
Essendo state ricostruite intere porzioni dell’Opéra di Parigi in cemento, acciaio e con tanto di travi maestre, il set del teatro voluto da Laemmle – lo Stage 28, noto anche come Phantom Stage – non fu demolito e fu anzi riutilizzato come set per innumerevoli altri film. Rimase lì in piedi per circa 90 anni: fu demolito soltanto nel 2014.
Come aveva già fatto per il suo Quasimodo in The Hunchback of Notre Dame (Il gobbo di Notre Dame, 1923), fu lo stesso Lon Chaney a ideare il trucco del Fantasma, con il quale si divertiva a spaventare la troupe. La sua terrificante maschera, simile a un teschio ghignante, divenne una delle più celebri effigi di tutto il cinema horror, oltre ad essere figurativamente l’incarnazione più fedele al personaggio letterario creato da Leroux.
Il romanzo di Leroux ha ispirato, nei decenni, innumerevoli adattamenti di ogni tipo: opere, balletti, musical, opere rock e naturalmente film. Il primo di questi fu un film tedesco del 1916, Das Phantom der Oper, di Ernst Matray, con Nils Olaf Chrisander. Quasi vent’anni dopo il film in questione, fu girato il già citato film di Arthur Lubin (1943), con Claude Rains. Tra le versioni più conosciute, seguirono poi quello inglese della Hammer (1962), di Terence Fisher, con Herbert Lom; la versione splendidamente kitsch di Brian De Palma in chiave rock, Phantom of the Paradise (Il fantasma del palcoscenico, 1974); un film per la TV di Tony Richardson (1990), con Charles Dance; il film di Dario Argento (1998), con Julian Sands e Asia Argento; si torna infine a Hollywood con il film di Joel Schumacher (2004), con Gerard Butler. Il fantasma è stato interpretato fra gli altri anche da Maximilian Schell (1983) e Robert Englund (1989).
Vittorio Renzi(8 gennaio 2016)
The Phantom of the Opera (Il fantasma dell’Opera)
Usa, 1925
regia: Rupert Julian
soggetto: romanzo ominimo di Gaston Leroux (1910)
sceneggiatura: Raymond L. Schrock e Elliott J. Clawson
fotografia: Virgil Miller
montaggio: Maurice Pivar
musica: Sam Perry (1929), Gabriel Thibaudeau (1990), Rick Wakeman (1990),
Roy Budd (1993), Carl Davis (1996).
scenografia: E.E. Sheeley e Sidney Ullman
trucco: Lon Chaney
produzione: Carl Laemmle, per Universal
cast: Lon Chaney (il fantasma), Mary Philbin (Christine Daae), Norman Kerry (visconte Raoul de Chagny), Arthur Edmund Carewe (isp. Ledoux), Gibson Gowland (Simon Buquet), John St. Polis (Philip de Chagny), Snitz Edwards (Florine Papillon), Virginia Pearson (Carlotta/madre di Carlotta), Bruce Covington (Moncharmin), George B. Williams (Ricard), Bernard Siegel (Josepg Buquet), Cesare Gravina (manager), Ward Crane (conte Ruboff), William Humphrey (Debienne), Carla Laemmle (prima ballerina), Ruth Clifford (ballerina), John Miljan (Valentin), Chester Conklin
lunghezza: 10 rulli, 9200 piedi
durata: 92’
première: Los Angeles, 7 gennaio 1925
data di uscita: 6 settembre 1925