Evgenij Bauer
SINOSSI: Sergei è un ricco vedovo ossessionato dalla memoria della sua amatissima moglie Elena, morta qualche tempo prima, di cui conserva una treccia di capelli, per lui sacra. La sua ossessione sfiora l’insanità mentale. Un giorno, passeggiando per la città, vede una donna che gli pare identica alla moglie e decide così di seguirla. La donna entra in un teatro. Poco dopo ricompare sul palcoscenico di uno spettacolo alquanto tetro nel quale, insieme ad altre attrici, recita la parte di una donna che ritorna in vita uscendo dalla sua tomba. La scena sconvolge Sergei che, in quel momento, crede di veder risorgere sua moglie. Successivamente, Sergei corteggia l’attrice, il cui nome è Tina, e lei accetta le sue attenzioni. Ma, dopo un po’ di tempo, Sergei si accorge che si tratta di una donna sciocca e volgare, ben lontana, interiormente, da sua moglie. Tina, stufa di essere continuamente paragonata alla defunta, un giorno afferra la treccia di capelli di Elena per prendersi gioco di sentimenti di Sergei. Accecato dall’ira, lui la strangola con una cravatta.
Che dire di un film del 1915 che si apre non già con l’inizio della narrazione, ma con un’immagine che racchiude la sostanza del film, ovvero il ricordo/fantasma/ossessione di Sergei: l’immagine su sfondo nero di sua moglie, vestita elegantemente, che sembra essere in posa per qualcuno e alla fine sorride? E che prosegue per ellissi, nella scena (che tornerà anche più avanti), in cui il vedovo piange la moglie, distesa nella bara, ricoperta di fiori, e le taglia una treccia di capelli? Andando avanti nella visione di questo splendido dramma gotico presovietico è impossibile, chiaramente, non proiettarsi con la mente al futuro, ovvero a Vertigo (La donna che visse due volte, 1958) di Hitchcock, pur con le dovute e sostanziali differenze narrative.
E il motivo è piuttosto semplice: il romanzo di Georges Rodenbach, Bruges-la-Mort (1891), che è alla base del film di Bauer, ispirò anche due scrittori francesi (Boileau e Narcejac) per il loro D’entre les morts, romanzo che costituì la fonte del film di Hitchcock. Anche in Gryozy, come nel capolavoro del maestro inglese, il punto centrale è l’ossessione “necrofila” di un uomo per una donna e il tentativo di inseguirne il fantasma. E naturalmente anche qui le due donne (la moglie defunta e l’attrice che dovrebbe sostituirla) sono interpretate dalla stessa attrice (F. Werchowzewa o N. Tschernobajewa: le fonti su questo film, già lacunose, sono discordi circa l’attribuzione del ruolo). Ma la figura tormentata e sulla soglia della follia di Sergei sembra uscita anche da un racconto di Edgar Allan Poe: nella scena-refrain dell’uomo chino sulla tomba della moglie serpeggia l’atmosfera lugubre e opprimente delle pagine di Ligeia.
Al netto di una recitazione antiquata e non proprio ai massimi livelli, Gryozy è, a mio avviso, uno dei film più belli e folgoranti della metà degli Anni Dieci: un vero gioiello in termini di regia, di erotismo, di intuizioni luministiche – in buona parte debitrici dell’influenza del cinema danese, molto diffuso all’epoca in Russia – e di trovate scenografiche, come ad esempio nella riuscitissima ricostruzione della macabra scena del Terzo Atto di Robert le diable, di Giacomo Meyerbeer, messo in scena per la prima volta all’Opéra di Parigi nel 1831 (alcuni set saranno poi riutilizzati in film successivi di Bauer). Per non parlare dei movimenti di macchina, in particolare nella sequenza del pedinamento dell’attrice da parte di Sergei che la scambia per la moglie defunta, poco prima che quest’ultima entri nel teatro:
La cinepresa a questo punto diventa la protagonista, avanzando, arretrando, esitando, seguendo quel fantasma che si volge e ammicca, rendendo tutto lo stupore dell’uomo, la magia mistica della situazione, il mistero agghiacciante dell’incontro.[1]
Evgenij Bauer (Mosca 1865 – Crimea 1917), oggi semisconosciuto ai più, è stato, insieme a Jakov Protazanov, il più grande e prolifico dei registi russi presovietici, purtroppo scomparso prematuramente a causa di un banale incidente. Già esperto dell’arte fotografica e regista di teatro fece nel 1913 il suo ingresso nel mondo del cinema, portando sullo schermo, in soli cinque anni, circa 80 film, quasi tutti drammi romantici, decadenti, psicologici. Ad oggi, ne è sopravvissuto meno di un terzo.
Vittorio Renzi (27 ottobre 2015)
Gryozy (грезы | Daydreams)
[Sogni ad occhi aperti]
Russia, 1915
regia: Evgeni Bauer
soggetto: romanzo Bruges-la-Morte di Georges Rodenbach
sceneggiatura: M. Bassow
fotografia: Boris Zavelev
musica: Neil Brand [1992]
produzione: Aleksandr Khanzhonkov, per Khanzhonkov
cast: Alexander Wyrubow (Sergei Nikolaevich Nedelin), F. Werchowzewa (Elena), Viktor Arens (Solski), N. Tschernobajewa (Tina Wlarskaja, un attrice)
durata: 37′
première: Mosca, 10 ottobre 1915
[1] Ugo Casiraghi, Storie dell’altro cinema, Torino, Lindau, 2012, p. 85.