Jakov Protazanov
SINOSSI: Hermann è un giovane ufficiale dalla personalità razionale e dalla condotta irreprensibile. Pur essendo attratto dal gioco d’azzardo, non osa praticarlo, nella convinzione di non poter sacrificare l’indispensabile per procacciarsi il superfluo. La sua lucidità viene però sconvolta dal racconto di un suo commilitone, un aneddoto riguardante il passato di sua nonna, un’anziana nobildonna un tempo giocatrice appassionata, che sarebbe in possesso del segreto per vincere al gioco. Dopo aver sedotto Liza, la giovane dama di compagnia di sua nonna, riesce ad introdursi nella stanza della contessa e la implora di svelargli il suo segreto. Per lo spavento, la vecchia muore sul colpo. Quella stessa notte, a Hermann appare il fantasma della contessa che gli promette di farlo vincere al gioco grazie a tre carte: il tre, il sette e l’asso. Quando Hermann ha finalmente occasione di giocare, le parole della contessa sembrano rivelarsi profetiche: il tre lo fa vincere e così il sette, ma come terza carta, invece dell’asso vincente, Hermann si ritrova in mano una donna di picche nella quale crede di riconoscere il volto beffardo della contessa. L’uomo impazzisce.
Il film è una delle più celebri trasposizioni letterarie di Protazanov (genere in cui era specializzato prima della Rivoluzione russa) insieme a quella di Otets Sergiy (Padre Sergio, 1917), da Lev Tolstoj. Il film di Protazanov, contrariamente alla precedente versione a un rullo del 1910 di Petr Chardynin, è in tutto e per tutto fedele al racconto omonimo di Puškin (1834) che, oltre ad ispirare l’opera omonima di Čajkovskij (1890), fu nuovamente portato sul grande schermo almeno altre cinque volte nel corso dei decenni successivi. Protazanov, nella sua trasposizione, si ispirò alle illustrazioni di Alexandre Benois (che preparò poi i bozzetti per il Napoléon di Abel Gance, 1927) realizzati per un’edizione del racconto pubblicata qualche anno prima e sperimentò diverse soluzioni visive per rendere più cinematografica e meno teatrale la sua versione della Dama di picche: sovrimpressioni, giochi chiaroscurali, lavoro sulla profondità di campo, particolari angolazioni della macchina da presa.
In una scena, vediamo lo schermo diviso in due con giustapposizione di due scene (in realtà, una semplice sovrimpressione), onde figurare i pensieri e le brame del protagonista, (un drogato del gioco che non sa di esserlo, poiché non ha mai giocato in vita sua); in una scena successiva, la vecchia contessa, esausta dopo un’ennesima festa mondana, si abbandona sulla sua poltrona ed ecco che, in sovrimpressione, riflessa su uno specchio sullo sfondo, compare lei da giovane, seguita da due uomini (il marito e, lo scopriremo subito dopo, il giovane amante). In chiusura di questa sequenza, una seconda sovrimpressione trasforma la giovane contessa, ora seduta su una poltrona, e la figura dell’amante che improvvisamente si staglia sulla soglia della sua stanza, nei due protagonisti del presente: la vecchia contessa e Hermann, intrufolatosi nella sua casa grazie alla complicità dell’ingenua dama di compagnia, Liza.
La vecchia contessa appare poi sotto forma di fantasma a Hermann per rivelargli finalmente le tre carte vincenti da giocare. Dopo la sconfitta, Hermann, buttato su un divano, vede trasformarsi davanti ai suoi occhi un quadro sulla parete in un altro che ritrae un asso di picche, e si ritrova poi intrappolato in una gigantesca tela di ragno. Ormai pazzo, lo vediamo, alla fine, seduto sul suo letto in manicomio, dove immagina di essere ancora immerso nel gioco, e, ancora in sovrimpressione, ci appaiono sia la vecchia contessa ghignante, sia le carte che Hermann crede di maneggiare.
Quello che soprattutto colpisce nel film è l’inesorabile controllo del materiale espressivo, lo spericolato gioco delle luci, la tesissima, studiata disposizione spaziale delle figure nel quadro. (…) Protazanov conduce con una notevole energia espressiva il suo discorso sulla prigionia del protagonista, assediato a poco a poco dalla sua ossessione del gioco e assediato nel contempo dalle ombre, rinserrato in cornici, in taglienti fasci di luce.[1]
Il protagonista del film, Ivan Mozžuchin, fu la prima grande star del cinema russo. Allo scoppio della Rivoluzione russa si allontanò dalla madrepatria, come del resto Protazanov, con l’intento di proseguire la carriera in Europa e poi in America, ma l’avvento del sonoro distrusse il suo sogno, dal momento che non conosceva l’inglese. Tornò in Russia dove prese parte a qualcuno dei primi film sonori, ma la sua carriera terminò di lì a poco.
Vittorio Renzi (8 novembre 2015)
[1] Giovanni Buttafava, Il cinema russo e sovietico, Biblioteca di Bianco & Nero / Ubulibri, 2000, p. 32.
Pikovaja dama | Пиковая дама (La dama di picche)
[Queen of Spades]
Russia, 1916
regia: Jakov Protazanov
soggetto: racconto omonimo di Aleksandr Puškin
sceneggiatura: Fëdor Ocep, Jakov Protazanov.
fotografia: Evgenij Slavinskij
musica: Rafal Rozmus
scenografia: Vladimir Balljuzek, S. Lilienberg, Valerij Pšibytnevskij
produzione: Iosif Ermol’ev, per Pathé
cast: Ivan Mozžuchin (Hermann), Vera Orlova (Lisaveta), Elizaveta Šebueva (la contessa), Tamara Duvan (la contessa da giovane), Polikarp Pavlov (il conte), Nikolaj Panov (conte di Saint-Germain), Georgij Azagarov
lunghezza: 1142 metri
durata: 63’
data di uscita: 1 aprile 1916