Charles Chaplin
SINOSSI: In un paesino della provincia francese, l’opposizione dai rispettivi genitori convince due innamorati a progettare la fuga a Parigi. Nel cuore della notte, in una deserta stazione ferroviaria, Marie attende l’arrivo di Jean per prendere insieme il treno. Ma a casa di lui è in corso un dramma: il padre muore d’infarto e il giovane resta dunque in casa al fianco della madre. Marie, pensando di essere stata respinta, decide di partire da sola. Un anno dopo Marie è la mantenuta di un facoltoso uomo di mondo parigino, Pierre Revel, che presto però sposerà un’altra donna. Nel recarsi ad una festa, Marie bussa alla porta sbagliata e si trova davanti Jean. L’incontro fortuito riaccende la passione e, col pretesto di farsi fare il ritratto, Marie coglie l’occasione per frequentare di nuovo Jean, che vive modestamente con la madre. A ritratto ultimato, Jean le chiede nuovamente di sposarlo. Marie liquida Revel, ma poi, recatasi da Jean, lo sente dire all’anziana madre, preoccupata per il suo futuro, che non sposerà Marie. Accortosi solo dopo della sua presenza, Jean tenta inutilmente di spiegarle che l’aveva detto solo per consolare la madre. Marie, oramai disillusa, riallaccia il legame con Pierre, e Jean, ormai disperato, finisce per uccidersi.
Quello di realizzare un film drammatico era un sogno che Chaplin aveva nel cassetto da anni, al pari di tanti cineasti del genere comico dopo di lui. E che finalmente, da indipendente, poteva ora realizzare per la Universal Artists, la compagnia che aveva fondato insieme a Douglas Fairbanks, Mary Pickford e D.W. Griffith. E quello che si apprestò a realizzare, fu un film a cui teneva moltissimo e la cui mancata ricezione da parte del pubblico lo ferì al punto da decidere di ritirare la pellicola dai cinema e di tenerla lontana dagli sguardi altrui per quasi 50 anni.
A Woman of Paris non è, in effetti, un film appassionante, ma rivela anche dei pregi che non si possono ignorare. Così come non si può biasimare il pubblico di allora che disertò le sale, ritenendo forse insensato andare a vedere un film di Chaplin dove Chaplin non compariva (se non in una breve comparsata come facchino), e per di più un film di Chaplin “serio”. La critica invece lo adorò, e non soltanto per lo stesso motivo che aveva invece tenuto lontano il pubblico. Il genere comico, infatti, da qualche anno non era più considerato un genere “volgare”, senza nessuna prospettiva alta o artistica, ma anzi una forma d’arte di tutto rispetto e il talento di Chaplin era ormai universalmente riconosciuto. Adorò il film perché riuscì a cogliere quello che il suo autore aveva cercato di fare, ovvero quell’innovazione stilistica che oggi, a quasi un secolo di distanza, è più difficile cogliere: la grande misura del tocco chapliniano nell’affrontare il melodramma.
Misura che si esplica sia a livello di trama e di intreccio (Chaplin faticò moltissimo per trovare un finale appropriato), sia soprattutto nella direzione degli attori. Chaplin li spronò tutti a fare un lavoro di sottrazione che per l’epoca era davvero innovativo. Non voleva gesti plateali, espressioni ostentate, non voleva tutti quei cliché che il cinema muto aveva importato dalla pantomima e dai palcoscenici teatrali. Oramai c’erano i primi piani a raccontare le sfumature di un volto, non serviva “gridare” un’espressione. Dunque, Chaplin perseguiva il realismo, il contenimento delle emozioni e la loro verosimiglianza. Dichiarò in proposito in un’intervista: «Uomini e donne cercano di nascondere le loro emozioni, non di ostentarle, o di esprimerle. In questo senso ho cercato di essere il più possibile fedele alla realtà»[1].
Adolphe Menjou, ben guidato dalle indicazioni del suo appassionato regista, appare ancora oggi brillante e irresistibile nel ruolo del cinico dongiovanni Pierre Revel. Quanto a Edna Purviance, in teoria era perfettamente in grado di restituire sullo schermo tutto ciò che Chaplin aveva in mente. Eppure…
Edna era stata la compagna fedele di Chaplin per 8 anni, sia nella vita che nel lavoro. E in tutti i film a cui aveva partecipato, il suo sorriso e la sua freschezza – ma anche le lacrime nel caso di The Kid (Il monello, 1921) erano sempre stati perfetti come controparte femminile del “vagabondo”. Qui, invece, oltre ad apparire un po’ appesantita nel fisico e non più freschissima nel volto (aveva 27 anni all’epoca delle riprese e pare bevesse molto), Edna fa del suo meglio nel ruolo che il suo regista, con grande fiducia e ammirazione, scrisse appositamente per lei. I due si erano lasciati da qualche tempo, ma erano rimasti amici e Chaplin, con questo film, ambiva a fare di lei una star. Non ci riuscì. Forse questo suo unico vero ruolo da protagonista non era sufficientemente tragico e catartico per imporsi con forza nell’immaginario dello spettatore, di certo le mancavano alcune delle qualità che avevano alcune dive di Hollywood, dato che non era intensa ed espressiva come Lillian Gish, frizzante come Mary Pickford o sensuale come Theda Bara. Personalmente però ritengo anche che, essendo sempre rimasta al fianco di Chaplin nelle sue comiche, avesse ormai perso il suo momento per brillare autonomamente in ruoli più a tutto tondo. E così finì, di lì a poco, immeritatamente, la carriera di una brava attrice.
Vittorio Renzi (4 gennaio 2015)
[1] David Robinson, Chaplin. La vita e l’arte, Venezia, Marsilio, 1986.
A Woman of Paris (La donna di Parigi)
Usa, 1923
regia e sceneggiatura: Charles Chaplin
fotografia: Roland Totheroh, Jack Wilson
montaggio: Monta Bell
musica: Charles Chaplin [riediz. 1977]
scenografia: Arthur Stibolt
produzione: Charles Chaplin, per Regent Film Company
cast: Edna Purviance (Marie St. Clair), Adolphe Menjou (Pierre Revel), Carl Miller (Jean Millet), Lydia Knott (madre di Jean), Charles French (padre di Jean), Clarence Geldert (patrigno di Marie), Betty Morrissey (Mimi), Malvina Polo (Paulette), Charles Chaplin (cameo)
lunghezza: 8 rulli, 7500 piedi
durata: 89′
data di uscita: 1 ottobre 1923